Rostropovič e la musica che festeggiò la caduta del Muro di Berlino
Se Bach, Cioran e Rostropovič si ritrovano metaforicamente insieme ai piedi del muro berlinese che per 28 anni ha diviso la parte orientale della città da quella occidentale, e con essa la vita di migliaia di persone.
di Luca Signorini
Ce lo siamo goduto, Mstislav Leopol’dovič Rostropovič, ben prima che cadesse il muro. Appariva il suo nome sulle copertine dei dischi targati Deutsche Grammophon ma anche, a trovarli, su dischi d’etichetta russa, meno curati tecnicamente ma ugualmente storici, anzi forse anche di più, dato che mostravano un artista giovane e a diretto contatto con nomi immortali della musica occidentale. Uno fra tutti, Dmitrij Dmitrievič Šostakovič, che proponeva la sua Sonata op. 40 per violoncello e pianoforte eseguita in modo pazzesco, per così dire, nel senso che tutto quello che poi leggevo in partitura era disatteso. Prova del fatto che i compositori sono i primi ad interpretare liberamente le proprie opere e a gradire licenze da parte dell’interprete, purché espressione d’umanità e rispettose non tanto del testo quanto del suo significato. Si intuiva, tra Rostropovič al violoncello e Šostakovič al pianoforte, un dialogo fecondo, una voglia di rendere giustizia al messaggio insito nella Sonata. E il messaggio spietato, dal sorriso amaro, di Šostakovič, lo conosciamo. Così come noi studenti conoscemmo l’immensa statura del violoncellista russo che si rivelò ben più che violoncellista. Una presenza imprescindibile per tutti, violoncellisti e compositori, oboisti e scenografi, violinisti e sovrintendenti, politici e scrittori e pittori e poeti.
Chi ha avuto la fortuna di assistere ad un suo concerto, e io sono tra questi, ne ammirava prima di tutto la gran voglia di vivere. E sì che la sua vita, pur costellata di successi planetari e ricchezza, fu enormemente faticosa. Lo sa chi, in proporzioni infime rispetto lui, si è reso conto di cosa voglia dire fare concerti in giro per il mondo, esponendosi in prima persona e quindi esponendosi alla possibilità (remota, nel suo caso) di essere criticato. Non posso parlare di Rostropovič, troppi lo hanno fatto in modo perfetto e migliore di come possa farlo io; anche se lo ho amato e se è stato per me un faro, una guida, ad osservarlo e ascoltarlo dal vivo, o dagli impianti stereofonici dell’epoca. Posso però, ricordandolo mentre suonava le suites di Johann Sebastian Bach sotto le sempre più larghe incrinature del muro, speculare su quella caduta e su qualche pensiero che quella caduta suscitò. Chiedo aiuto a Emil Cioran, il Grande Scettico così dannatamente umano, perché alcune sue pagine sulla Destra e sulla Sinistra, parole oggi da una parte venerate e dall’altra disprezzate, sono dure, incisive e credo attualissime. Il muro naturalmente caratterizzava il mondo per quella dicotomia sociale che rendeva inevitabili quanto inspiegabili i tanti atti di violenza rossa e nera che molti di noi, pur non avendone preso parte e non restandone fisicamente offesi, subivano quasi ogni giorno, non fosse altro che per la paura di indossare certi indumenti nel posto sbagliato.
Era come se ciascuna fazione dicesse all’altra andatevene dall’altra parte e l’altra parte diventava assai spesso il cimitero. Destra e Sinistra, semplici approssimazioni di cui sfortunatamente non possiamo fare a meno. Non farvi ricorso significherebbe rinunciare a prendere posizione, sospendere il proprio giudizio in materia politica, affrancarsi dalle servitù della durata, esigere che l’uomo si desti all’assoluto, che divenga unicamente animale metafisico. Di tale sforzo di emancipazione, di tale balzo oltre le nostre verità di dormienti, pochi sono capaci. Intorpiditi lo siamo tutti; e, paradossalmente, proprio per questo agiamo. Continuiamo allora come se nulla fosse, pratichiamo pure le distinzioni tradizionali, felici di ignorare che i valori emersi nel tempo sono, in ultima istanza, intercambiabili. Un ragionamento che non potremmo certamente proporre a Liliana Segre, men che mai in questi tempi di cupa renaissance razzista. Ma a guardare quel violoncellista sotto il muro che suona Bach e tralasciando per un momento i suoi trascorsi polemici con il suo regime di provenienza e la sua fuga nell’Occidente, non vi sembra che il condimento giusto alle parole di Emil Cioran siano proprio le suites di Bach per violoncello solo? Se ripensate a quante morti stupide vi sono state in nome di ideologie che hanno sì i loro fondamenti, ma che trovano oggi un mondo che fatica a riconoscerne confini e significati, tanta è la sua complessità (fatti salvi i valori, quelli non muoiono, purché li si riconoscano senza pregiudizi), non sentite in quelle suites, nella loro costruzione sapiente e soprattutto nell’amore con cui Rostropovič le eseguiva, la giusta risposta umana all’inutilità di sterili spaccature? Spacchiamo il muro, forse pensava Slava mentre suonava Bach sotto il muro: non spacchiamo l’uomo in nome di parole usate come armi prive di senso.
*Luca Signorini, scrittore, musicista e compositore, è Primo violoncello del Teatro San Carlo di Napoli e docente al Conservatorio “Nicola Sala” di Benevento