Migranti e santità, tra ironia e drammaticità – Intervista a Giuseppe Massa
Dalla Sicilia al Teatro TRAM di Napoli la storia di due fratelli e di un migrante deceduto, da seppellire, al fine di investigare la progressiva disumanizzazione della società odierna, inseguendo le tracce dell’esistenza umana dal suo inizio alla sua fine.
di Gabriella Galbiati
Una voce seria, profonda e proveniente dal Sud. Giuseppe Massa è l’autore e il regista di “Miracolo”, uno spettacolo dedicato al problema dei migranti che verrà presentato per la prima volta a Napoli sabato 15 dicembre, alle ore 19, e domenica 16 dicembre, alle ore 18, al Teatro TRAM. La pièce della compagnia Sutta Scupa vede impegnati Gabriele Cicirello, Paolo Di Piazza e Dorinne Raboude, per le scene e i costumi di Mela Dell’Erba, le luci di Michele Ambrose, il suono di Giuseppe Rizzo.
Incuriositi dal modo particolare con cui nel lavoro si è scelto di trattare una delle tematiche più forti e attuali del momento, abbiamo raggiunto Massa al telefono per porgli qualche domanda.
«Lo spettacolo – spiega l’autore e regista – prende spunto dalle ondate migratorie per raccontare più in generale la società contemporanea. Il contesto scenico è molto semplice. Ci sono due fratelli becchini precari che devono seppellire un migrante morto ma nel luogo in cui si trovano, le tombe sono tutte piene. Rimangono solo i posti accanto alla loro famiglia. Da lì si innesca un meccanismo grottesco e tragicomico in cui i due fratelli cercano in tutti i modi di sbarazzarsi del feretro».
Da qui la sua particolarità, perché la resa di “Miracolo” «sta in bilico tra l’ironico e il drammatico, anche se, durante la scrittura, viravo verso qualcosa di più lirico e poetico. Ma ho deciso di privilegiare l’aspetto dialogico e trovo che sia un lavoro molto duro».
Per dare maggior forza alle parole dei personaggi e mettere in risalto il lavoro di drammaturgia e degli attori, si è scelto un allestimento con un solo elemento specifico a spiccare. «Per il mio spettacolo, ho pensato ad una scenografia scarna e ho voluto solo una bara molto semplice e austera, come sono effettivamente nella realtà le bare destinate a custodire i corpi dei migranti e degli ultimi».
Un tema che non è nuovo alla compagnia siciliana. «La questione dei migranti, in realtà, come compagnia, l’affrontiamo da circa dieci anni. La prima volta ne abbiamo parlato con una riscrittura della storia di Sacco e Vanzetti, solo che in quel caso i migranti eravamo noi italiani negli USA».
Ma da dove nasce questo nuovo lavoro? «“Miracolo” nasce durante la residenza di Write 2016, una sorta di meeting tra drammaturghi siciliani ed europei, organizzato da Tino Caspanello, che si svolge in un monastero di Mandanici, un paesino vicino Messina. Ogni autore aveva il compito di scrivere in pochissimo tempo un plot da far poi recitare la sera stessa nel paese. Così mi sono chiuso nella bellissima cella del monastero che mi hanno assegnato e ho elaborato l’inizio di “Miracolo”. Poco alla volta, i personaggi hanno preso il sopravvento e mi sono ritrovato a scrivere quello che loro stessi mi dicevano. Dopo che ho trovato la via, è stato tutto più semplice».
Un impegno di scrittura intenso, in cui si è dato spazio soprattutto alla parola costruita intorno ad un’immagine particolarmente significativa. «Da quando i personaggi sono arrivati, non mi hanno più lasciato. Ho semplicemente tolto ogni mio giudizio rispetto alle cose che accadevano. Ci sono momenti scenici molto particolari, soprattutto nella parte iniziale. Infatti, lo spettacolo comincia con una donna di colore che partorisce la bara e i due becchini. Un’immagine a cui tengo molto».
Molte, ad oggi, le soddisfazioni che il lavoro di squadra (che debuttò lo scorso anno a Messina) sta ricevendo – «La pièce sta girando molto e siamo stati da poco in Grecia, per la precisione ad Atene e a Salonicco, ricevendo consenso dal pubblico. È stato presentato sotto forma di studio all’Oratorio San Lorenzo di Palermo ed ha debuttato l’anno scorso a Messina» – da qui la curiosità di conoscere quali le reazioni degli spettatori alla visione: «Mi piace molto come in genere reagiscono ed è indubbio quanto “Miracolo” riesca a parlare a qualsiasi tipo di pubblico, sia a persone colte sia a coloro che sono meno avvezzi al teatro contemporaneo. In genere, gli spettatori sono combattuti perché notano l’aspetto tragicomico attraverso gli occhi dei due becchini che non sanno bene come risolvere la questione. Quindi ridono, ma sempre stringendo i denti perché si rendono conto che rappresenta la fotografia di una situazione che attualmente gli ultimi si trovano a vivere davvero. Ricordo che a Messina, mentre il pubblico rideva, una signora si alzò in piedi, gridando “Non c’è nulla da ridere!”, così volendo ricordare a tutti i presenti in sala che si stava parlando di un morto e di una situazione drammatica che purtroppo attualmente viviamo tutti i giorni».