Flavio Ignelzi, “I punti in cui scavare” [LIBRI]
Una raccolta di racconti, di cui alcuni inediti, attraverso cui lo scrittore amante della narrativa breve indaga le inquietudini del nostro tempo, tra sofferenza e perdono, vendette e circostanze inverosimili.
di Luca Signorini
Non c’è niente di più verosimile di un disco volante che appaia nel bel mezzo di una vicenda del tutto umana, presente, attuale, carnale, nello sviluppo logico ed emozionale della quale ognuno di noi possa calarsi.
Per introdurre I punti in cui scavare di Flavio Ignelzi (Alessandro Polidoro Editore) voglio usare due frasi di Peter Handke, la prima: l’impressione che, invece di tutta quella gente, proprio io, per salvarmi, avrei avuto bisogno di vedere un disco volante!
Chi ha mai ha negato l’esistenza dei dischi volanti. La differenza però, tra un colpo ad effetto e un autentico sentimento del vero, è tutta nell’abile e profondamente umana scrittura di Flavio Ignelzi. L’aspetto surreale è completamente legittimato e armonizzato nella vicenda. Leggendolo, noi accettiamo gli extraterrestri tanto quanto accettiamo che una prostituta accolga un cliente in stanza. Accettiamo che si vada in giro con le maschere antigas per una contaminazione planetaria quanto la corsa forsennata di un ragazzo in motorino che faccia consegne a domicilio: è il dato d’abilità narrativa di Ignelzi e, direi, anche di coraggio, e il coraggio premia. Anche per questo L’Autore ottiene meritato successo e scala classifiche letterarie.
La seconda: il paesaggio, là fuori: una bellezza mitigante; ma non come se si fosse già giunti all’Apocalisse, più che altro come se essa fosse a due passi – e vi rimanesse per sempre. A due passi dall’Apocalisse ci si trova spesso, nella vita. I racconti che Ignelzi dispiega in questo suo magnifico libro non solo coinvolgono per la nettezza d’immagini dell’animo umano quanto del paesaggio circostante, grazie ad una lingua rapida, essenziale e lucidissima: coinvolgono per quel sentimento d’ansia che fa, nel bene e nel male, d’ogni giorno della nostra esistenza un’avventura rischiosa e priva di certezze. Quindi umanità.
L’umanità ha perso una delle peculiarità che la distingueva dagli altri esseri viventi: la calligrafia. In uno dei racconti trovo questa frase, semplice, vera e ai limiti del banale. L’evocazione di quel dato così cementato al carattere unico e irriproducibile dell’uomo, la calligrafia, ha il suo senso nel momento in cui si riconosce la calligrafia di chi si è amato: sembra facile detta così. Ma passare dalla vicenda tragicomica d’un uomo che trasporta una donna nel bagagliaio della propria auto ad un’altra vicenda, vagamente dostoevskiana, tutta calata in un’atmosfera silenziosa evocante la propria moglie attraverso calligrafia o poesie di Umberto Saba (in un contesto nel quale per uscire di casa bisogna indossare maschera e tuta!) non è per nulla facile. E, come se in un concerto si alternino brani, che so, di Salvatore Sciarrino e Fryderyk Chopin, tante diverse tipologie umane scorrono nella loro unicità, dipinte chiarissimamente e, come siamo noi tutti, piene d’incertezze. Ai confini dell’Apocalisse.