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A Napoli la strada della musica per antonomasia ci ricorda l’esistenza di strumenti in via di estinzione a favore di generi musicali di altro tipo, attualmente i soli in grado di riempire le piazze, eppure non per questo di maggior valore rispetto ad altri più di nicchia. O no?

di Luca Signorini*

Foto di Pexels da Pixabay

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In via San Sebastiano, nel cuore del centro storico napoletano, vi sono diversi negozi di strumenti musicali: chitarre elettriche, bassi elettrici, pianoforti elettrici, sintetizzatori elettrici, cavi elettrici. Meno appariscenti, pochi e umilmente dimessi nell’aspetto esterno e interno, un paio di botteghe vendono violini e simili.
Noto in Italia come alcuni conservatori di musica promuovano la musica pop, la musica da film, la musica popolare, generi più o meno nobili. Il pubblico ne è entusiasta.
Qualche anno fa, in auto, ascoltavo un’intervista a un neoeletto Presidente del Consiglio dei Ministri il quale dichiarò, richiamando la mia attenzione fin lì sonnacchiosa, di amare molto la musica. Il giornalista chiese “Quali musicisti ama di più?” e il Presidente rispose Vasco Rossi e Irene Grandi. Pochi mesi orsono fu intervistato un ministro, stessa domanda, identica risposta: Vasco Rossi. È da molto che non sento un politico dichiararsi amante di un qualche Giuseppe “Vasco Verdi, Vasco Johannes “Vasco” Brahms.
Io penso che la sfida dei nostri conservatori di musica non stia nel riempire una piazza con un concerto dedicato ad Ennio Morricone, artista dalla gloria meritata e imperitura: troppo facile.  Stia invece nel riempire di giovani una sala ove si eseguano non dico le suites per violoncello solo di Max Reger o la musica da camera di Alfredo Casella, ma almeno qualche brano cameristico di Ludwig van Beethoven. Solo la capillarità territoriale dei nostri conservatori può operare questo miracolo, questa inversione di tendenza, rimboccandosi le maniche e interagendo con la realtà sociale del luogo.
Bisognerebbe concentrarsi sulla promozione di quei compositori che ai più sembrano pulci, piccole cose nascoste in qualche angoletto della Storia, e far scoprire questi misconosciuti autori (detto tra noi, artisti fondamentali della cultura occidentale) alla massa, con concerti proposti da studenti che con la musica pop o da film non hanno o avranno mai molto a che fare se non per ricavarne qualche modesto argent de poche.

Foto di Gabriel Doti da Pixabay

Foto di Gabriel Doti da Pixabay

So che i dirigenti dei Conservatori italiani possono chiudere o aprire classi a loro piacimento, ma ad una condizione, dettata dal ministero: qualunque cosa deve essere fatta a costo zero. Ecco che se vi sono tante domande di ammissione per le classi poniamo di musica pop o di jazz e nel contempo una classe di Fagotto ha un numero infimo di iscritti, il dirigente aprirà una nuova classe di musica pop e chiuderà quella di Fagotto. Il meccanismo, obbligato dai bilanci statali imposti, è questo. Di questo passo potremmo ipotizzare un futuro scenario nel quale gli italiani non sapranno neanche più dell’esistenza di uno strumento chiamato Fagotto; e quando la gente ne vedrà uno in televisione, magari in un auditorium tedesco o rumeno, si chiederà che roba è.
È stato detto chiaramente che l’epoca delle masse è l’epoca del colossale. L’evento, il Grande conformistico Evento in luoghi prestigiosi è una continua cattedrale in un continuo deserto mentale, e ciò non si riferisce solo alla musica. Partendo da qui si fa presto a concludere no money, no party. Chissà come finirà questa storia del profitto economico generato dalla cultura.
Questa situazione ricorda la damina, raccontata da José Ortega y Gasset, che disse di non poter soffrire un ballo al quale non fossero invitate almeno ottocento persone. È importante se è di richiamo? Quindi se non è di richiamo non è importante.  Ecco la sfida vera: rendere di richiamo ciò che oggi non è.
Mi piacerebbe insomma vedere le strade della musica italiane anticonformisticamente piene di violini, liuti, fagotti e spinette in bella vista; e qualche cavo elettrico in meno.

[*Luca Signorini, scrittore, musicista e compositore, è Primo violoncello del Teatro San Carlo di Napoli e docente al Conservatorio “Nicola Sala” di Benevento]

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