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Con il suo ultimo romanzo Luca Signorini affronta la storia di due uomini e attraverso essi indaga sull’esistenza affidando al viaggio, nel suo valore metaforico e reale, il senso di tutto.

di Vincenza Alfano

La copertina

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C’è una domanda centrale che tiene insieme l’interessante architettura de “Il discorso delle mele” (L’Erudita), ultimo romanzo di Luca Signorini: “Vorrei che tu mi parlassi del tuo viaggio”.
Rimbalzando dallo scrittore ai personaggi, rappresenta il motivo della tessitura di una storia esile che è piuttosto un pretesto per raccontare altro.
Luca Signorini costruisce un’interessante struttura narrativa tripartita, in modo originale lo scrittore discute col lettore del suo umore, dei suoi dubbi, pone le premesse alla stesura di un romanzo preannunciandone tema e personaggi. Inizia poi il racconto delle vicende dei protagonisti Stefano e Hamid.
L’ultima parte intitolata “Titoli di coda” è una raccolta di altri testi, poetici, filosofici, fonti, modelli, citazioni, che fanno da controcanto alla storia narrata.  Tutto però si tiene perfettamente. Il lettore non avvertirà nessuna smagliatura in un racconto  coerente.
È agosto quando Luca inizia a scrivere il suo romanzo. Una storia breve, pochi personaggi, scarsi movimenti anche se si racconta di viaggi.
La voce narrante si prende lo spazio di un lungo monologo, quasi un diario di un’anima sospesa tra malinconia e stupore. Sogni e realtà si sovrappongono, hanno bisogno di una sponda, un terreno comune dove incontrarsi. Intanto è crollato un ponte e non se lo aspettava nessuno, la ybris dell’uomo contemporaneo è arroganza oltre qualsiasi limite concesso o, forse più semplicemente, ignoranza.
E c’è una nave ferma in un porto e uomini a cui si vieta lo sbarco. La vita e la morte si incontrano continuamente.
Ci sono le domande di Luca sul presente, sul futuro, sulla vita e sull’arte. Sulla morte. Il ricordo di suo padre e il suo discorso delle mele. Un  modo semplice per spiegare a un bambino il destino dell’uomo dopo la morte. Ma un bambino, forse più ragionevolmente degli adulti, fa fatica ad accettare l’idea di dover diventare una mela, scrive Signorini, mentre sta per raccontare la scelta dell’eutanasia di Stefano. Un suicidio non più eroico – lo scrittore cita Pavese – ma reso necessario. Il modo estremo per affermare la libertà di morire.
Scelta, libertà, coraggio: Luca Signorini ha la capacità di mostrare quanto possano essere ambigue le parole.  Viaggio è parola chiave del romanzo e se in apparenza  i viaggi sono due: quello di Stefano, viaggio per andarsene, viaggio verso la morte;  quello di Hamid  viaggio per restare,  per continuare a vivere; c’è ancora il viaggio dello scrittore che sembra  chiamato, come lui stesso scrive, ad “accudire  i propri personaggi”. Ancora lo scrittore si fa carico di costruire ponti, provando a congiungere mondi inconciliabili: realtà e sogno, vita e morte, le storie diverse e affini di Stefano e Hamid. L’incontro tra questi due uomini ha in sé qualcosa di prodigioso, può dirottare il viaggio.
“Il discorso delle mele” è innanzitutto un romanzo filosofico. Signorini è sempre molto attento ai temi dell’attualità, come dimostrano i suoi precedenti libri, ma sarebbe inopportuno derubricare a tema politico sociale il valore esistenziale di quest’ultimo romanzo che ha al suo centro una profonda riflessione sulla vita e sulla morte e una proposta per la sopravvivenza: “Per me l’aldilà è molto più rivoluzionario della ragione”. Per dire forse che bisogna credere in qualcosa per avere il coraggio di vivere.

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