“La Cenerentola maritata”… e se non fosse un lieto fine?
Uno sguardo sul “giorno dopo” della più celebre delle favole, su cosa accade, o meglio potrebbe accadere, spente le luci, finita la festa, così come tratteggiato dalla penna arguta, amara e ironica al contempo di Manlio Santanelli, la regia di Francesco Facciolli e l’interpretazione, una e molteplice, di Scilla Sticchi.
di Daniela Campana
In principio era la favola; e lo è ancora. Ma i tempi non sono più quelli di una volta. E così anche Cenerentola non sfugge al decesso del “lieto fine”. Maritata al suo bel Principe Azzurro, ben presto è costretta a verificare sulla sua pelle quanto nerume si nasconde dietro quell’azzurro. Ma è pur vero che anche coloro che si battono contro il determinismo non possono non ammettere che una cammarera resta pur sempre una cammarera. Da questo sottosuolo della blasonata società, tra un’invettiva rivolta al proprio destino e un’altra alla Regina madre, Cenerentola prepara il suo letale riscatto, anche in nome dei protagonisti delle altre favole, che in misura più o meno simile non sono stati gratificati dal tradizionale “e vissero felici e contenti”
(M. Santanelli)
È con il monologo a più voci di Manlio Santanelli, “La Cenerentola Maritata”, che il Nuovo Teatro Sanità ha chiuso il 2019. Lo spettacolo, al suo debutto napoletano, vede protagonista Scilla Sticchi, con scene, pupazzi e regia di Francesco Facciolli, e racconta la vita della novella principessa Cenerentola/Tola dopo il tipico happy ending delle fiabe.
“E vissero per sempre felici e contenti…”, è questo il must-have di ogni favola che si rispetti. Ma se questo non ci fosse? O meglio. Se si volesse immaginare cosa è accaduto dopo? È proprio questa l’operazione che Manlio Santanelli fa con la “Cenerentola Maritata”: prova rispondere a tale domanda, cercando di “dare uno sguardo al giorno dopo (…) ad una principessa alle prese con il Principe che è diventato marito, con la Regina diventata suocera e con tutte le piccolezze e le grandezze del vivere quotidiano”.
In un “castello” di stracci, pezze e troni scarnissimi, si dipana la storia sconfortata tanto quanto burlesca dell’ormai sciagurata e povera ‘principessa’ Cenerentola/Tola, costretta non solo dalla Famiglia Reale ma anche e soprattutto dal Principe Azzurro a rigide e complesse etichette e ad aristocratiche maniere, da lei sempre ritenute ripugnanti, obsolete e alquanto inutili.
Partendo dall’acuta drammaturgia, Francesco Facciolli riporta sulla scena rancori, vendette e guai di quella che è una favola ormai tramutata in tragedia. Perché Cenerentola/Tola ben presto – calato il sipario della spettacolarizzazione delle nozze e spente le luci degli scintillanti e nobili candelabri – prova sulla sua pelle quanto è buio e cupo il mondo della nobiltà, vana e frivola, sempre pronta a sottolineare che “una cammarera resta pur sempre una cammarera”.
Di certo la regia studiata di Facciolli riesce ad esaltare piacevolmente il testo del drammaturgo napoletano, in modo dinamico e efficiente, mediante l’uso di diversi espedienti scenici: gioca con gli effetti di luce, utilizza pupazzi creati efficaciamente con manici di scopa e recipienti in plastica reinventati per dare corpo alle “più voci” del testo – la Regina Madre, il Principe Azzurro e i vari maestri di etichetta –, adopera l’escamotage del “teatro dei burattini” per dare vita ad un racconto interno alla narrazione e, con meticolosa attenzione, fa uso delle musiche della “Cenerentola” di Gioacchino Rossini, le quali aiutano a rafforzare la potenza tragicomica della scrittura già estremamente pungente dell’autore.
In definitiva, cercando un punto di vista differente, “La Cenerentola Maritata” santanelliana con la sua dicotomica linguistica italiano-napoletano di barocca memoria, con prevalenza di quest’ultimo, la sua scrittura comica intrisa di drammaticità e il suo finale quasi splatter, catapulta lo spettatore in una messinscena bizzarra quanto paradossale, da cui però lo stesso ne esce estremamente divertito.