… ma tu sei di Napoli Napoli?
Con Marina Cuollo a passeggio, per la rubrica “Microstorie”, nel cuore di Napoli ascoltando una “signora” chiacchierona che ha tanto da raccontare se solo ci si ferma ad ascoltarla.
Scrivere di Napoli ogni mese, lo ammetto, mi diverte. Mi dà la possibilità di mettere i piedi nell’acqua di mare anche se siamo in pieno inverno e sono davanti a un PC tutto il giorno.
Io sono napoletana, e lo dico con un pizzico di orgoglio. Eppure pochi sanno che non vivo al centro di Napoli, ma sono nata e cresciuta ai piedi del Vesuvio. E infatti quando un napoletano legge in rete che sono di Napoli puntualmente mi domanda: ma Napoli Napoli?
Questa è una domanda che un milanese non farebbe mai a un suo concittadino, ma un Napoletano sì. Perché per i napoletani il concetto di napoletanità si affievolisce man mano che ci si allontana dai confini geografici di Napoli. Un abitante di Portici, agli occhi di un residente dei quartieri spagnoli è sempre napoletano, ma un po’ meno di lui. Fatta eccezione per tutti quelli che si sono conquistati lo scettro della napoletanità assoluta attraverso la loro arte (vedi Troisi che era di San Giorgio a Cremano), in quel caso la geografia può andarsene dritta dritta… ci siamo capiti.
Come dicevo, io sono nata e cresciuta ai piedi del Vesuvio, per cui per molti la mia napoletanità è come una provola affumicata: buona, buonissima, ma mai quanto una mozzarella di bufala DOP. E se io sono una provola, la mia genitrice invece, è proprio una mozzarella di bufala, di quelle con il sapore più intenso. Mia madre è nata in uno dei quartieri storici di Napoli: il rione Sanità, a pochi metri dalla casa di Totò.
Il rione Stella, meglio conosciuto come il rione Sanità, si trova tra il centro storico e Capodimonte ed è quello che ha dato i natali al principe della risata, per cui capite bene che negli anni si è conquistato una certa autorevolezza in fatto di napoletanità. È stata una delle zone più problematiche di Napoli, considerata “a rischio”, quindi vittima di numerosi pregiudizi, anche da parte dei napoletani stessi, ma da diversi anni sta vivendo una rinascita che l’ha portata ad essere una meta per molti turisti.
Riconoscere questa zona di Napoli è facile, se passeggiando per Santa Teresa degli Scalzi vi trovate sopra un ponte, beh, state pur certi che siete nella Sanità. Quel ponte è il simbolo del rione e se abbiamo la fortuna di averlo ancora intatto dobbiamo ringraziare una donna, la partigiana Maddalena Cerasuolo, detta Lenuccia, che ha partecipato alle quattro giornate di Napoli. Sì, ci sono donne che persino a quei tempi facevano non uno, ma molti passi avanti, e pure con il fucile in mano.
La cosa bella del rione Sanità è che ogni giorno ti racconta qualcosa. È una signora chiacchierona che quando ti invita ti offre sempre il caffè, e la sua casa odora di ragù e melanzane fritte. Ha alle spalle una storia sofferente ma porta le sue cicatrici con onore. È contraddittoria, altruista e strafottente, amorevole e dura come una madre. È orgogliosa e scintillante quando si vanta della basilica che porta il suo nome, quella di Santa Maria della Sanità, che sembra una delizia al limone al centro di un vassoio di piccola pasticceria. È solare come un murales di Totò e oscura come le catacombe di San Gennaro e il cimitero delle Fontanelle. Eppure anche lì, nel buio più tetro, ci sono i ricordi luminosi di chi come mia nonna aveva adottato una capuzzella e andava a pregare tutte le domeniche.
Ogni angolo di questo rione contiene una storia, la storia delle persone che hanno attraversato quei vicoli, storie d’amore, storie di dolore, di cui non sapremo mai nulla ma che hanno lasciato comunque un segno tangibile in questa città. Napoli è nostra e dobbiamo prendercene cura, cominciare a raccontarla alle nuove generazioni. Perché quella signora chiacchierona ha ancora tanta voglia di parlare e nessuno dovrebbe mai smettere di ascoltarla.