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Con Mariana Cuollo, per la sua rubrica “Microstorie”, ad immaginare l’estate, o meglio, la “staggione” che sarà, tra luoghi del cuore, ritualità, tempi lenti e desiderio di normalità.

Microstorie

Se quest’anno non fosse dominato dall’incertezza, in questo periodo avremmo già cominciato a pregustare il sapore dell’estate.
A Napoli l’estate assume un significato tutto suo, una gioia intrinseca, al punto che per noi diventa la stagione per antonomasia, ovvero ‘a staggione, rigorosamente con due “g” per trasmettere tutta la pienezza che la contraddistingue.
‘A staggione non ha un inizio preciso, comincia quando il caldo ci costringe agli abiti leggeri, raggiunge il culmine quando partiamo per la villeggiatura e finisce con i golfini di filo.
I napoletani anche durante ‘a staggione conservano una certa ritualità, una sorta di tradizione, come un richiamo istintivo. Non tutti per carità, ma molti la villeggiatura la fanno sempre nello stesso posto da dieci, venti, anche trent’anni. Ed è come spostarsi in una seconda casa, gli stagionali diventano i nuovi condomini, ed è una certezza ritrovarli ogni anno con un bagaglio di nuove esperienze addosso. Poi però, alcuni di loro improvvisamente spariscono, per un motivo o per un altro non tornano più, e con il tempo si trasformano in esilaranti storielle da narrare.
Che ci si ritrovi vicini di casa o di piazzola le dinamiche sono le stesse: lo scambio di un piatto di pasta a pranzo, una tazzulella di caffè sul patio, un occhio in più sui bambini che giocano, sono gesti di buona creanza che non mancano mai. E la sera ritrovarsi a mangiare un gelato in centro diventa quasi un appuntamento fisso. Come dicevo, i rituali, la tradizione.
Ogni volta di questi tempi, con l’arrivo del caldo, la mia mente si rigenera e il mio pensiero si perde nei ricordi. Mi sento come Scrooge che riceve la visita dello spirito dell’estate passata, e mi mostra la mia adolescenza come in un film.
Da napoletana classica anche io ho passato gran parte delle mie vacanze nello stesso posto, Santa Maria di Castellabate. E sì, molto prima che diventasse mainstream per via del film.
Ricordo che la mia staggione aveva l’odore di eucalipto, il rumore dei grilli scandiva le ore, e non c’erano confini. Porte e finestre rimanevano sempre spalancate, perché tanto in villeggiatura ci si conosce tutti, nessuno entra in casa senza dire “permesso” e nessuno si mette scuorno a farsi vedere in pigiama mentre sorseggia il caffellatte. Le prime amicizie fuori dalla scuola, le prime cotte e le prime delusioni, le ho avute tutte durante ‘a staggione. Un mare di prime volte, alcune belle come le onde che s’infrangono sugli scogli e alcune un po’ meno, come quelle giornate piene di alghe che si attaccano alle gambe.
Le ore scorrevano lente tra pomeriggi passati in spiaggia e serate a far casino fino al mattino, ogni momento era intriso di una spensieratezza che è evaporata lentamente con lo scorrere degli anni. E ogni volta che mi capita di tornare a Santa Maria mi accorgo che le generazioni cambiano ma i luoghi rimangono sempre gli stessi. Ed è incredibile, ma anche profondamente rassicurante guardare i miei nipoti ritrovarsi con gli amici sugli stessi muretti che frequentavo io vent’anni fa.
Quest’anno ‘a staggione la desideriamo più che mai, come un bicchiere d’acqua ghiacciata in una giornata afosa. Ma una parte di noi fatica ancora a lasciarsi andare, a pensare di poter mollare tutto una domenica mattina e correre verso il lido più vicino.
E così, mentre andiamo incontro al caldo imminente cercando di scrollarci di dosso gli ultimi brandelli di paura, torniamo a imparare piano piano a camminare per strada, a incontrare persone, a riprenderci quella normalità che per tutti questi mesi ci è venuta a mancare. Con la speranza di poter tornare a vivere di nuovo ‘a staggione. Rigorosamente con due “g”.

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