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Nel saggio di Grazia D’Arienzo edito da Liguori, il percorso di vita e d’artista di una figura cardine della storia culturale italiana che trova in Napoli le sue radici, tra cinema, teatro e sperimentazione.

di Stefano Valanzuolo

Il libro

Il libro

“Renato Carpentieri. L’attore, il regista, il dramaturg” non è una biografia e, giustamente, l’autrice, Grazia D’Arienzo, lo mette in chiaro subito e in maniera esplicita. È, invece, uno studio assai godibile nella resa, per quanto ampiamente contestualizzato e supportato da molte minuziose informazioni, intorno ad un protagonista della scena italiana degli ultimi quarant’anni, nel quale convivono coerentemente anime diverse e troppo variegate per venire circoscritte, appunto, nei margini del ritratto biografico standard. Ciò detto, appare chiaro – scorrendo le quasi duecentocinquanta pagine del libro edito da Liguori due anni fa – come la storia personale e quella professionale di Carpentieri siano state e siano tuttora in virtuosa connessione, per cui non appare affatto casuale che l’artista abbia saputo operare  scelte di vita in funzione teatrale ma anche, viceversa, trarre dalle esperienze condotte fuori scena non dei semplici spunti creativi, ché sarebbe cosa ordinaria, ma riferimenti etici e intellettuali intorno ai quali modellare il proprio percorso di attore, regista e dramaturg.
Quest’ultimo termine, volutamente impiegato secondo la forma tedesca, torna utile ad illustrare la figura vivace di Carpentieri e stimola, intanto, la curiosità intelligente di D’Arienzo, che nel protagonista del suo libro ritrova l’attitudine non solo a creare emozioni ma pure, allo stesso tempo, a farsene interprete, assecondando la capacità di tradurre suggestioni letterarie e persino politiche in linguaggio della voce e del corpo, infine sapendo organizzare il messaggio composito in un sistema che tenga conto del pubblico quale interlocutore privilegiato e del contesto scenico quale elemento attivo, in un interscambio proficuo tra contenitore e contenuti o, se preferite, tra forma e sostanza.
A supporto di questo assunto, nel volume viene meticolosamente indagata l’esperienza felice rappresentata dal progetto “Museum” che, lungamente a partire dal 1998, aveva visto Carpentieri e la cooperativa Libera Scena Ensemble impegnati in una forma nuova e alternativa di teatro, più in generale di comunicazione pulsante e integrata.
Ma il libro di Grazia D’Arienzo offre pure, a quelli che furono spettatori di una certa stagione calda del teatro e ad altri che sarebbero nati dopo, la possibilità di ripensare o scoprire, attraverso la storia di Carpentieri, i mille stimoli legati al dibattito culturale che agitò l’Italia e Napoli a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Nel libro, infatti, Napoli diventa spesso epicentro di un ribollente processo di cambiamento personale e generazionale. La formazione stessa di Carpentieri appare scandita da incontri con nuovi modelli teatrali provenienti da lontano (fatidica la folgorazione indotta dal dissacrante Living Theatre) o da molto vicino (tra tante, citiamo le collaborazioni assidue intessute con Gennaro Vitiello, Michele Del Grosso, Igina di Napoli e Angelo Montella), sempre comunque accolti nel segno di una proficua apertura mentale e metabolizzati con spirito critico. La politica resta, nella vicenda di Carpentieri, una vocazione culturale mai elusa nel corso di mezzo secolo di vita, a giudicare dal concetto partecipativo che l’artista praticherà sempre, rifuggendo da dogmatismi troppo spinti, anche nel momento in cui indosserà i panni del regista. Significativa la volontà, più volte proclamata e perseguita, di costruire una messinscena e di tracciare una ipotesi di lettura attraverso quella che Carpentieri definisce “un’istruttoria” condivisa, finalizzata a  motivare autori e attori.
E poi c’è il cinema, naturalmente, scoperto in età matura e coltivato con attenzione specifica, contando su modelli di riferimento selezionati con gusto, per simpatia e rispetto, e svelati volentieri a Grazia D’Arienzo, nel corso delle conversazioni interviste riportate nel libro. I modelli concreti, coltivati da vicino (come Dario Fo e Gian Maria Volontè, in ambiti differenti) e quelli solo ideali, ma non per questo meno importanti: Peter Brook, ispiratore più o meno manifesto di un progetto importante come  “Napoli, città Teatro”(1997); poi l’amatissimo Bertolt Brecht,  infine il geniale Vsevolod  Mejerchol’d, icona di un teatro politico, appunto, da intendersi nel senso migliore del termine.
Tra i molti spunti offerti ancora dal libro di Grazia D’Arienzo, uno almeno rimanda al ruolo forte e teatrale attribuito alla musica da Carpentieri; un altro, invece, ci proietta nel cuore di Napoli, che è città presente dietro e dentro questo racconto: naturalmente conquistata, in gioventù, poi brevemente messa da parte, di nuovo cercata e infine acquisita come luogo dell’anima e della mente agli occhi di un intellettuale che orgogliosamente si definisce bilingue, senza snobismo d’oleografia e con la consapevolezza, invece, di far parte di un universo culturale carico di storia.
Il libro, preceduto da una prefazione di Isabella Innamorati (che, anni fa, coinvolse Carpentieri in un laboratorio teatrale svolto con passione e rigore presso l’Università di Salerno) si chiude con una sezione ampia in cui vengono riportate tutte le fonti, edite e inedite, riconducibili al protagonista del libro, con citazione puntuale di ogni presenza in teatro, radio, televisione e cinema. E se questa appendice, in particolare, rappresenta uno strumento di consultazione utilissimo per studiosi e semplici spettatori, l’intera pubblicazione lascia il senso di un omaggio efficace reso non soltanto all’attore e regista illustre, ma soprattutto ad un pezzo di storia del teatro e del cinema che, per fortuna, appartiene anche a noi.

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