Il dialetto, patrimonio linguistico partenopeo
Con Marina Cuollo alla scoperta di Napoli, questa volta attraverso le sue espressioni dialettali più belle, immaginifico “occhio” sulla città e le storie infinite che l’attraversano.
Credo di averlo detto e ripetuto forse un milione di volte: amo il mio dialetto. Ma non solo il dialetto, anche i modi di dire non dialettali che sono tipici di questi luoghi.
Il napoletano (e tutto ciò che gli gira intorno) è un dialetto figurativo, ti fa “vedere” le cose, e per chi come me ama le storie, scrive e si immagina mondi, è qualcosa di estremamente affascinante.
La lingua, le parole, sono il modo che abbiamo di esprimere noi stessi e il mondo che ci circonda. Confesso che i puristi della lingua, quelli che ci tengono a puntualizzare continuamente cosa si può dire e cosa no, mi danno un po’ sui nervi. Certo, con questo non voglio dire che dobbiamo dimenticare i congiuntivi o scordarci come si costruisce un frase di senso compiuto, ma la lingua non è statica, evolve con noi e bisogna tenerlo a mente. Spesso è espressione rappresentativa del nostro vissuto e si manifesta proprio con i modi di dire, dialettali e non.
Penso ad esempio al fatto che, qui a Napoli, quando qualcuno decide di passare a un’alimentazione più sana e corretta esordisce dicendo: da oggi mangio pulito. È un modo di dire chiaro, immediato, e anche se sembra non avere senso (letteralmente) lo comprendiamo lo stesso. È il bello della lingua, perché oltre a essere chiara, sovente produce anche un po’ di ilarità. Infatti, ogni volta che mi capita di sentire l’espressione “mangio pulito” sorrido sempre un po’, perché nella mia mente comincia a palesarsi l’immagine di un tizio che prende tutta la roba dal frigo e gli fa una passata in lavatrice a 90 gradi.
Il patrimonio linguistico partenopeo è davvero ricco di espressioni, ma i modi di dire dialettali sono quelli che preferisco, perché a volte diventano vere e proprie metafore. Il più emblematico è senza dubbio il classico mariuolo ‘ncuorpo.
Avere ‘o mariuolo ‘ncuorpo, è un modo di dire che difficilmente è possibile riprodurre in italiano con altrettanta efficacia. Perché quando mi dicono chillo tene’ ‘o mariuolo ‘ncuorpo io non posso fare a meno di visualizzare quel comportamento ambiguo che denota un malcelato senso di colpa misto alla consapevolezza di avere la coscienza sporca. Esattamente come se qualcuno portasse dentro di se un ladro (mariuolo), ovvero l’equivalente fisico di un essere umano poco raccomandabile che ha qualcosa da nascondere.
Subito dopo, al secondo posto della mia personale classifica, troviamo ‘a capa è na sfoglia ‘e cepolla, letteralmente “la testa è una sfoglia di cipolla”. Credo che non esista modo di dire più adatto a esprimere la precarietà del cervello umano. Significa che in fondo in qualsiasi momento potrebbe arrivare qualcosa a turbarci al punto da farci perdere il controllo. È l’espressione perfetta della vulnerabilità, del fatto che non siamo immuni a qualsiasi cosa, non siamo invincibili.
E last but not least, c’è una parola che mi fa impazzire, una parola che se solo la sento mi fa ridere a crepapelle, ma non ridere come quando senti una battuta o una sciocchezza, è una risata di gioia, una risata di soddisfazione, perché penso al genio che deve averla partorita e vorrei stringergli la mano. Mi riferisco alla parola “paraustiello”.
Lo so, esco un po’ dal seminario perché questo non è un modo di dire, ma un termine napoletano che non ha neanche un corrispettivo italiano, almeno io non lo conosco. Il paraustiello è una scusa argomentata in maniera particolare, improbabile, utilizzata per convincere l’interlocutore di qualcosa di insostenibile. È un intero discorso contorto e arzigogolato che ha lo scopo di portare una persona a credere a un ragionamento che in realtà non sta in piedi. E noi abbiamo una parola che esprime tutto questo. Non è magnifico?
Insomma, di termini e modi di dire ce ne sono molti, ma questo spazio non sarebbe sufficiente a elencarli tutti. In ogni caso, che siano mariuoli in corpo, sfoglie di cipolla o paraustielli, ogni volta che sento un’espressione dialettale tipica o un modo di dire partenopeo una parte di me si scioglie, come quando ero adolescente e beccavo il tipo che mi piaceva nei corridoi della scuola. Arriva una specie di sussulto, un tuffo al cuore, ed è lì che capisco che della mia città e della mia cultura sono letteralmente innamorata.