“Tenet” di Christopher Nolan [CINEMA]
Il regista di Inception, Interstellar e Dunkirk confeziona quello che è diventato il film più atteso della stagione, un equivoco spettacolare ad alta tensione emotiva.
di Luca Taiuti
A Tenet di Christopher Nolan spetta il compito più arduo: rilanciare la riapertura (vera) delle sale. Con un’uscita rimandata a oltranza a suon di colpi di scena, Tenet è infatti uno dei film più attesi della stagione cinematografica, destinato non solo a vivere nelle sale a lungo, quanto a polarizzare il giudizio degli spettatori.
Armato di una sola parola, Tenet, e combattendo per la sopravvivenza del mondo intero, un Protagonista senza nome viaggia attraverso un mondo crepuscolare di spionaggio internazionale in una missione che si svolgerà in qualcosa al di là del tempo reale.
Innanzitutto è bene dire che il ritorno in sala è importante per la visione di qualsiasi film, ma nel caso di Tenet potremmo dire che è essenziale, quantomeno per godere della strabiliante cura del suono, maniacale, una malattia che rende Christopher Nolan un autore pressoché unico. Il regista londinese è, in questo senso, uno dei pochi a spingere per spendere ogni centesimo dei budget dei suoi film in qualcosa che abbia a che fare con l’aspetto tecnico del film stesso. E stavolta il suono è davvero l’elemento di spicco, che supera perfino le immagini, belle ma non oltre la linea, come spesso invece Nolan ci ha abituati, tanto nella composizione quanto nella cura fotografica. E valore aggiunto al suono è la potente colonna sonora di Ludwig Göransson, esperto in fatto di blockbusteroni (Creed, Black Panther, Venom e il successo The Mandalorian, tra gli altri), che adopera furbi echi che riecheggiano nella percezione dello spettatore e nelle sue reminiscenze cinematografiche.
Lineare sul piano drammaturgico della trama, e piuttosto ingarbugliato, e a tratti confuso, nelle sottotrame sulla questione della manipolazione del tempo, al film però manca molto, troppo, per sciogliere i suoi nodi e raccontare veramente qualcosa.
Se in opere come Memento (2000), Inception (2010) e Interstellar (2014) cercava un compromesso tra la macchinosità e l’immediatezza, con Tenet Nolan si arrende nel cercare la comprensione e, nel suo tentativo di plasmare un’opera di massimo impatto emotivo, affida furbescamente a uno dei suoi personaggi il manifesto del suo cinema: «Non cercare di capire, sentilo». E, infatti, non basta nemmeno qualche spiegone a effetto, soprattutto sul finale, per capirlo davvero, il senso profondo di cosa racconti tutto quest’ambaradan, e dare un filo resistente su cui far scivolare una trama fatta di almeno 2 ore (su 2 e mezzo) di ingarbugli e domande-risposte su continuo schema causa-effetto-causa, una struttura che fa letteralmente volare la visione. Il problema è che quell’ipotetica corda dello straniamento su cui transitiamo, a furia venir tirata si spezza, provocando la perdita di una fetta di pubblico, una pratica già osata da Nolan ma mai così tanto abusata.
Il giocattolo nolaniano stavolta ha meno attenuanti del solito, per via di quello che alla fine si ha difficoltà giustificargli. Certo, la raffica di pathos è ad altissimo tasso di tensione, dal primo secondo di visione, e questo ne fa un film imponente. Ma le continue ellissi temporali sono ampi salti nel vuoto, paradossali, che a tratti riescono a fluttuare nella sfera dell’intrigo, ma in altri, invece, producono solo smarrimento, allenando molto il cervello dello spettatore, e finendo per chiedergli anche troppo. Notevole il cast, dove Robert Pattinson, nei panni di Neil, è il compagno di scena ideale e riesce perfino a rubare la scena all’ottimo protagonista, di nome e di fatto, John David Washington (figlio del celebre Denzel, ndr) e soprattutto Kenneth Brannagh nei panni del russo Andrei Sator, una spanna sopra tutti, che giganteggia nelle scene condivise spesso con la bravissima Elizabeth Debicki, nei panni di Kat. Personaggi che tuttavia sentono forte la mancanza di una componente emotiva data, di solito, dal vero valore aggiunto dei successi drammaturgici della filmografia di Nolan, ossia la presenza del fratello Johnathan, qui assente come in Dunkirk (2017), che Christopher decise di firmare da solo.
Dunque con Tenet, in quella terra di mezzo tra il mainstream e un cinema d’autore, Nolan fa un po’ da ponte e interpreta se stesso: un autore estremamente coraggioso, che riesce a gestire straordinariamente bene budget imponenti, qui addirittura il più alto di tutti i tempi con i suoi 205 milioni di dollari, e questo può rischiare di essere perfino una qualità gigantescamente sottovalutata. Ma, se il regista cercava un’occasione per dimostrare che la forza del suo cinema è tutta nell’offrire un’esperienza cinematografica portata ai massimi livelli, finisce in un equivoco, dove lo stimolo ad assecondare la tensione emotiva vince a discapito dell’emozione stessa, che tutto sommato latita.