“Rosa Pietra Stella” di Marcello Sannino [CINEMA]
La prima opera di finzione del regista, tra gli altri, di “Corde”, “Napoli 24” e “Porta Capuana”, è un tagliente racconto del magnetico peregrinaggio di Carmela, una donna divisa tra personaggi, storie di vita, speranze e grandi errori.
di Luca Taiuti
Carmela ha trent’anni, bella e decisa, ma ha tanti problemi. È senza lavoro e stenta a cavarsela da sola, svolgendo piccoli lavoretti alla giornata. Fa quadrare i conti avvalendosi degli immigrati che popolano il dedalo di vicoli del centro storico di Napoli, un girone infernale dove, pur di ottenere un permesso di soggiorno, si è disposti a pagare per lavorare.
Presentato in prima mondiale all’International Film Festival di Rotterdam, poi al Giffoni Film Festival, alla Mostra del Cinema di Pesaro e ora in giro per le sale d’Italia, Rosa Pietra Stella segue con grande delicatezza, anche letteralmente grazie all’uso di una macchina da presa pedinatrice ma mai pedissequa, le vicende di Carmela, una donna dal cuore duro che non sa come si cresce e che cerca, come può, un posto nel mondo per sé e per sua figlia Maria. Sembra accorgersene a tratti, Carmela, che la sua inadeguatezza è solo un puntino nel macrocosmo che la circonda, fatto di personaggi emarginati. Per rappresentare quest’universo, Marcello Sannino decide di ambientare il suo primo film di finzione in luoghi a lui cari: Portici, città natale, Napoli centro e la zona di Porta Capuana, crocevia d’immigrati e suddetti esclusi, zona già protagonista del suo omonimo documentario Porta Capuana (2018).
E proprio l’esperienza da documentarista di Sannino si sente, non nella forma del film, impeccabile e raffinata, bensì nell’anima di Rosa Pietra Stella, che pur attraverso il linguaggio della finzione non perde mai di vista il suo grande obiettivo: cercare la verità che c’è nel mondo che racconta. Per farlo, l’autore innanzitutto affida la sua Carmela a Ivana Lotito, figura amazzonica, intensa e inscalfibile, ma non priva di qualche spunto comico tra le righe, una donna profondamente sola, fiera, testarda, una sorta di Rosetta dei fratelli Dardenne, opera a cui, in qualche modo, il film guarda con attenzione e rispetto. Ed è in particolare un grande interprete di quel Rosetta (1999), e della filmografia dei Dardenne, che suggestivamente coinvolge Sannino, che fa interpretare il suo Tarek al belga Fabrizio Rongione, attore dal sopraffino talento interpretativo, elegante come pochi. Nel ruolo di Maria c’è la piccola Ludovica Nasti, già nota al grande pubblico per il successo de L’amica geniale, la cui prova è una notevole conferma, per un’interprete che con un’impressionante precisione, e la tenerezza dei suoi tredici anni, si trova perfettamente a suo agio davanti alla macchina da presa, e a cui questo film dà preziosa opportunità di crescere ulteriormente. Sempre nel cast, una nota di rilievo per le intense Valentina Curatoli e Imma Piro, nei ruoli della sorella e della madre di Carmela, di cui disapprovano condotta e stile di vita, e un attore di grande esperienza e tutta sicurezza come Gigi Savoia, nel ruolo di Biberon.
Attraverso la sapiente scrittura (la sceneggiatura è firmata da Marcello Sannino, Guido Lombardi e Giorgio Caruso), lo sguardo raffinato del suo regista, e il ritmo di un montaggio (a cura di Giogiò Franchini) in cui vengono ben bilanciati momenti di tensione e altri di delicatezza che danno ampio respiro al film – notevole in tal senso l’incontro tra solitudini e culture nella scena del ballo tra Carmela, Tarek e la piccola Maria –, Rosa Pietra Stella diventa un magnetico peregrinaggio di una donna divisa tra personaggi, luoghi, storie di vita, speranze e grandi errori. Tutto s’indebolisce di fronte agli sbagli di Carmela, che finisce per triturare tutto ciò che le si avvicina, e in questo senso non si ha mai la sensazione che la timida empatia con Tarek abbia una meta.
Il film ha il coraggio di non farsi condizionare da qualsiasi giudizio etico, raccontando una storia ai limiti, di chi vive in uno stato di necessità tale da aver bisogno di vedere nella “piccola” illegalità una sopravvivenza, e dove la figura peggiore la fanno le istituzioni e i servizi sociali, che finiranno per cercare di salvare una figlia che ha solo sua madre nell’unico modo in cui farla soffrire, ossia separarle. Il coraggio, che corre nella spina dorsale del lungometraggio, è anche quello dei produttori (Antonella Di Nocera per Parallelo 41, Gaetano Di Vaio e Giovanna Crispino per Bronx Film e Pier Francesco Aiello per PFA Films) nel dare fiducia a un autore nella creazione di un’opera intima, sociale, vera, a cui non interessa per nulla mostrare il lato “invitante” della bella ed esotica cartolina napoletana, pratica ampiamente abusata nel recente passato, e che non ha paura invece di raccontare una Napoli sì bella ma piena di insidie e che, se non stai attento, ti fagocita, come una qualsiasi Carmela.