Un mitico Drago [POESIA]
Drago Štambuk è, al giorno d’oggi, il più quotato poeta in Croazia. Tradotto in molte lingue, fino ad ora non lo era mai stato in italiano. Vi ha provveduto Suzana Glavaš che, in attesa di un editore disposto a pubblicare i versi, li affida in esclusiva a QuartaParete che ne pubblica una parte.
di Rita Felerico
Suzana Glavaš, poetessa italo-croata da 35anni in Italia, autrice di due raccolte di versi ‘Sono donna che non c’è’ e ‘Ti suono le mie dita per piano solo’, docente presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, lettrice di madre lingua croata, ha tradotto per la prima volta in italiano 45 poesie di Drago Štambuk.
«Drago lo conosco personalmente – dichiara Suzana – è una persona poliedrica, ricca di interessi. Profondamente cattolico, di lui non si conosce molto qui in Italia; da esperto filologo, è stato l’unico a proporre il croato come bene immateriale patrimonio UNESCO, a ideare e realizzare la rassegna filologico – poetica “Croatia rediviva”. Di lui amo molto il verso libero e sincero che rivela l’essenza di una vita, l’esperienza di una esistenza, senza simbolismi».
Il titolo della raccolta, “Anche i pipistrelli sono uccelli in terra senza canto”, titolo “metafisico” lo definisce Suzana, introduce nell’intimo sentire del poeta spianando la strada al significato della “parola”: non si ha più voce per dire la verità, per pronunciarla in canto, solo le parole possono spiegare, comunicare, dialogare, proiettarci in quell’oltre che sta e vive nelle sillabe trasformate in frasi, pensieri. Le parole custodi della memoria, del tempo unidimensionale, unico ed eterno, tramandano sconfinando ogni limite, definendo il nostro agire e la capacità di incontro con l’altro.
Ambasciatore in Iran e Pakistan (lo è stato in passato in vari paesi, Egitto, India, Sri Lanka, Brasile solo per elencarne alcuni), medico specializzato in medicina interna, ricercatore, Drago dal 1991, data di nascita della rassegna “Croatia rediviva”, promuove le opere liriche scritte nei tre idiomi della lingua croata: solo così, scavando nella parola, si può conoscere la realtà di un popolo, comprenderne la storia e diffondere dialoghi di pace, superando nel rispetto delle differenze qualsiasi diversità. Le ferite delle guerre, il dolore delle popolazioni, dovunque abitino, sono il substrato sul quale come in un pentagramma Drago incastona le sue parole poetiche; le guerre, i dolori sono di tutti, appartengono ad un comune essere al mondo, segnano le esistenze di ognuno, le parole sincere permettono di sfondare gli schemi che vengono dati e imposti per andare a rivelare il vero di ogni accadimento.
Bello questo confronto/dialogo che si apre, che presuppone sia possibile – finalmente – pensare e parlare con parole di educazione emotiva, che vada a colmare un vuoto di comunicazione, quello fra noi e il mondo, fra noi e l’altro, fra noi e noi, fra noi e il nostro corpo.
Le gente teme le spine,/ a me ferirono i petali, scrive Drago, consapevole che tutto ciò che si vuol far credere e apparire come vero, senza il minimo movimento del mettersi in gioco cade dinanzi alla volontà di ricercare la verità.
ALFA OMEGA
Servi per essere perfetto. Ama per essere perfetto.
Sii perfetto per servire. Sii perfetto per amare.
Fare poesia è così, un po’ come andare in pellegrinaggio: se ciascuno di noi nel percorrere la propria esistenza conserva un qualcosa di non immediatamente visibile e comprensibile, un qualcosa che ci viene tramandato non solo per eredità familiare ma anche come patrimonio di tutti, il poeta – come un pellegrino – è colui che è in cerca di questo qualcosa, di questo qualcosa che è di tutti.
GIONA
Addormentati nel ventre della nave
saremo spazzati via da un temporale
e sepolti nelle profondità del mare.
Ignari dell’origine del
temporale, e del perché di tale nostra fine.
Che cosa, mi chiedo accorato,
vedremo in sogno – mentre il fortunale
ci spingerà sempre più in basso
nella cascata oscura del mare?
E si intravedono fra le parole i luoghi del suo peregrinare, l’India, l’amata isola di Brač,i colori della Dalmazia: montagna, montagne /mare, mari / la Croazia è tanta scrive. Ma non sono le distanze ad inquietare il poeta, piuttosto la capacità degli uomini di defilarsi. I poeti hanno il coraggio di guardare in viso la verità – come da medico ha imparato – e la prova del coraggio è la verità stessa che si rivela, senza nascondimenti e che è lì a gridare la sua realtà, è lì per non farsi manipolare. È la domanda sull’esistenza che unisce il medico Drago al poeta Drago, l’esperienza radicale dell’essere al mondo che è esperienza esistenziale, strutturale.
Dove batte il tuo cuore, uccello notturno?
Sotto la finestra dell’amata,
sotto la finestra dell’amato.
Dove sanguina il tuo cuore, uccello notturno?
Sulla spina della rosa,
sulla spina della rosa.
Dove scorre il sangue del tuo cuore, uccello notturno?
Nel rosso della rosa,
nel rosso della rosa.
Ma come scrive Drago, la verità uccide se l’amore non le spiana la via ed è l’amore a far germogliare il bastone / con cui camminando / spendesti la vita.
ZAFFIRO
Se hai due pani
danne uno a un povero,
l’altro vendilo
e compra un gelsomino
per nutrirti l’anima.
La contemporaneità di Drago è nel gesto di compassione, nel ritorno alla parola semplice del cuore, a questo scarnificare, destrutturare il linguaggio più che imbarocchirlo di vane immagini, renderlo il più vitale possibile, perché possa facilmente circolare e dispiegare il suo compito . Questo intento è uno degli obiettivi della manifestazione Croatia rediviva, dove la triplicità della lingua croata viene esibita, studiata perché sia utile a comprendere la storia dei croati (che solo fino ad un certo punto coincide con quella dei serbi. (1)). La parola quindi come cifra dell’umano, come linguaggio che permette alla poesia di Drago di farsi poesia del tempo e delle persone, vive nella loro vita, immerse nei paesaggi e nei luoghi delle loro azioni.
USIGNUOLO
La mia casa è
dove il mare sfiora
la terraferma cantando.
Il silenzio,
fratello dell’immensità.
All’infuori del mio
canto
terre avide
tremano.
Immergiti nella pace,
cuore mio.
Gabbia di sangue,
sogna il fiato croato.
Mi torna alla mente una bellissima poesia di Mario Luzi, la considero un primo punto a queste brevi riflessioni, versi che idealmente dedico a Drago.
Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi – sogno che la cosa esclami
nel buio della mente –
però non separarti da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il mio ricordo, sii
luce, non disabitata trasparenza …
La cosa e la sua anima? O la mia e la sua sofferenza?
(Mario Luzi)
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(1) Sull’origine triplice del croato, ho appreso da un breve incontro con Suzana che i serbi non hanno mai avuto i dialetti, la storia linguistica del croato, invece, parte da lontano e i dialetti che la compongono sono il frutto e l’espressione delle diversità dei luoghi e della storia dei luoghi rispetto ai confini territoriali che, sappiamo, mutano a seconda degli accadimenti. Esiste il dialetto che si parla sulle isole con forti influenze di italiano, con il quale si sono scritte diverse opere letterarie (ciacavo); poi c’è il dialetto parlato nella zona continentale fino a Zagabria, un idioma particolare per cui a volte non si comprendono fra loro neppure gli stessi abitanti del luogo (caicavo); infine, esiste l’ultimo idioma quello che accomuna i croati con i serbi (stocavo). È del 1850 l’accordo di Vienna, che impone lo stocavo come lingua standard.