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Con lo spettacolo dedicato al compositore italiano amato da Fellini, Lalla Esposito e il M° Antonio Ottaviano chiudono la 18esima edizione del Positano Teatro Festival nel segno dell’incantesimo cinematografico.

di Ileana Bonadies

Foto Vito Fusco

Foto Vito Fusco

Magico come il profondo rapporto di amicizia che lo legava a Federico Fellini. Magico come il suono dei numerosissimi brani composti per i più grandi registi italiani, disegnando la colonna sonora dei loro film, pietre miliari della storia del cinema.
Così era il Premio Oscar Nino Rota, e pervaso di magia baluginante è lo spettacolo “Nino” con cui Lalla Esposito lo ha omaggiato sul palco del Positano Teatro Festival durante la serata conclusiva della sua XVIII edizione lo scorso 10 agosto, ripercorrendone le musiche più note, arrangiate ed eseguite al pianoforte dal M° Antonio Ottaviano.
Gelsomina, Tunin, Cabiria e molti altri ancora si succedono sulla scena come ricordi, impalpabili emozioni che richiamano le pellicole malinconiche di cui sono protagonisti e attraverso l’aiuto di soli pochi elementi – che si tratti di un copricapo, un ombrellino, un nastro o delle maschere dipinte – scelti con cura dalla Esposito tra quelli più identificativi dei rispettivi personaggi, ecco (ri)prendere vita le loro esistenze, le loro storie, i sentimenti da cui sono attraversati.
Sequenze caleidoscopiche di stati d’animo che stringono per mano lo spettatore e lo conducono ora su un set, ora su un altro, ad osservare quasi di nascosto ciò che accade, ad origliare in silenzio quanto si sta dicendo, per poi velocemente essere catapultati altrove, sull’onda magnetica della forza onirica dell’esecuzione musicale e della potenza espressiva e canora della protagonista.

Foto Vito Fusco

Foto Vito Fusco

Perché è bene dirlo: se è vero che le composizioni di Rota da sé richiamano attenzione e coinvolgimento emotivo, è altrettanto vero che aggiunge un surplus di valore ai brani, l’interpretazione appassionante di Lalla, che senza mai risparmiarsi pur essendo impegnativa la prova a cui è chiamata, tira fuori dalla sua valigia, come una moderna Mary Poppins, tutto ciò che serve affinché il sogno prenda consistenza.
E come in un lungo amarcord, si delinii la strada su cui possa consumarsi la dolce vita delle tante figure rievocate con tragica leggerezza, calate in un tempo sospeso quanto infinito. Proprio come solo alcuni film sono in grado di fare, trasportando chi osserva in una dimensione lontana in cui tutto sembra conoscersi eppure tutto sembra al contempo estraneo. In cui i contorni della realtà sono sfumati dall’immaginazione e allungare lo sguardo oltre ciò che si vede con gli occhi diventa necessario per non spezzare l’incantesimo.
Quello stesso incantesimo a cui è inevitabile abbandonarsi ascoltando i lavori del prodigioso Rota e rivivendo le scene di intramontabili titoli come “Il Padrino” e “8 e ½”, o ancora lasciandosi travolgere dalla inquietudine di “Film d’amore e d’anarchia” o dalle peripezie dell’indisciplinato Gian Burrasca la cui intonazione di Viva la pappa col pomodoro si trasforma presto in un invito rivolto al pubblico a cantarla in coro.
A dimostrazione che se davvero si tratta di un sogno quello che si sta vivendo, doveroso è sognare tutti insieme per far sì lo stesso possa tramutarsi in realtà.

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