Assessore alla Cultura: prima di fare nomi si tracci l’identikit ideale
Nel giorno dell’insediamento di Gaetano Manfredi come Sindaco di Napoli, una riflessione aperta in previsione della nuova giunta pronta a essere formata.
di Ileana Bonadies
Come di consueto dopo ogni elezione, scelto il Sindaco è la composizione della giunta che diventa oggetto di interesse e causa di dibattiti previsionali intorno ai quali si materializzano i nomi più disparati e talvolta improbabili.
Per i lavoratori del settore Cultura come la sottoscritta, è in particolare la nomina del nuovo assessore quella che più si attende.
E il motivo è facilmente intuibile: sul tema si è investito moltissimo, in termini di impegni da assumere e risposte da dare, durante la campagna elettorale, raccogliendo una richiesta non velata di soluzioni che davvero forniscano centralità a una leva di sviluppo, crescita economica, aggregazione sociale, quali sono appunto le attività culturali nel loro più ampio significato, dall’arte allo spettacolo da vivo, dal cinema alla letteratura, dai musei alla musica.
Disattenderle significherebbe avvalorare la paura che serpeggia tra tutti gli operatori del campo: si parla di Cultura solo per promozione, cogliendo giustamente il valore di Napoli quale città ricca di storia, fascino, eccellenze, ma poi la questione passa immediatamente tra le ultime in lista superata da altre priorità.
Che dunque il futuro assessore o assessora ricoprirà un ruolo strategico e simbolico di rilievo, nel dialogo sia con chi la cultura la fa (artisti, organizzatori, operatori culturali, gestori di spazi, guide turistiche, maestranze, scrittori…) sia con chi della cultura ne usufruisce (cittadini e turisti, con ricadute anche su attività corollarie come ristoranti, alberghi, negozi), è chiaro.
Ma come sceglierne uno/a all’altezza del ruolo?
In queste ore, dicevamo, molti sono i rumors che anticipano possibili incaricati, ma forse ora più che mai, più che tirare dal cappello magico dei papabili, sarebbe opportuno e lungimirante definire le caratteristiche che lo stesso/a dovrebbe avere affinché attraverso questa figura si possa tracciare una linea politica e operativa di senso, che tenga conto della complessità della materia e delle realtà attraverso cui la stessa prende corpo.
Tracciare un identikit ideale, coinvolgendo in questa operazione teorica tutti gli addetti ai lavori, non solo porrebbe in evidenza (ancora una volta) le esigenze di cui di riflesso lo stesso assessore/a dovrà farsi carico, ma probabilmente rappresenterebbe anche un valido aiuto per il Sindaco chiamato a fare la scelta finale al netto di ogni accordo o equilibrio da mantenere che però non può essere sacrificato sull’altare della cultura.
Nell’ottica, ben spiegata da Massimiliano Virgilio sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno lo scorso 13 ottobre, che “avere una visione generale è auspicabile, ma che poi non si traduca in un’improponibile direzione artistica di politici e amministratori è necessario”.
Perché il rischio che nuovamente si corre è proprio questo: non far dialogare il “palazzo” con quello che sta fuori (teatro, associazioni, fondazioni, luoghi d’arte e così via); non conoscere a fondo quello che accade quotidianamente anche negli spazi più remoti della città o quello che prende vita grazie alla sola forza di volontari, ma le cui ricadute sono collettive; non fare tesoro delle esperienze passate dimostratesi vincenti e poi improvvisamente bloccate a causa di cambio al vertice; avere una visione parziale e non omnicomprensiva.
Riscrivere un nuovo modo di fare è possibile. Lo si faccia da subito, però.