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Al Teatro Argentina di Roma Carlo Cecchi rilegge Eduardo De Filippo con i capolavori Dolore sotto chiave e Sik Sik, l’artefice magico, specchio dell’amarezza e del realismo dell’autore tra i più rappresentativi del Novecento.

di Elvira Sessa

Dolore sotto chiave. Foto Filippo Ronchitelli

Dolore sotto chiave. Foto Filippo Ronchitelli

Due atti unici di Eduardo De Filippo, Dolore sotto chiave e Sik Sik, l’artefice magico, sono in scena al Teatro Argentina di Roma dal 10 al 23 dicembre, diretti ed interpretati da Carlo Cecchi, con Angelica Ippolito, Vincenzo Ferrera, Dario Iubatti, Remo Stella, Marco Trotta;  prodotti da Marche Teatro, Teatro di Roma ed Elledieffe.
Filo conduttore delle opere è il senso di precarietà della vita e la sua tragica comicità.
Dolore sotto chiave, nato nel 1958 come radiodramma interpretato da Eduardo e Titina De Filippo, racconta di una donna, Lucia, che per mesi ha nascosto al fratello Rocco la morte della amata moglie, per timore che questi potesse compiere gesti inconsulti. Scoperta la menzogna, emerge un po’ alla volta la grottesca verità di ogni personaggio.
Sik-Sik, l’artefice magico narra di uno sprovveduto prestigiatore che una sera si trova costretto a sostituire la sua spalla con il primo malcapitato, generando un crescendo di divertenti malintesi.  È il personaggio più amato da Eduardo che, non a caso, ha scelto questo nome pensando a sé, al suo fisico asciutto (sik sta per il napoletano sicco cioè secco). Scritto nel 1929, ebbe un enorme successo, con più di 450 repliche solo a Napoli (per approfondimenti https://bit.ly/3F1o5Pt)

Sik SIk. Foto di Filippo-Ronchitelli

Sik SIk. Foto di Filippo-Ronchitelli

Il lavoro di Cecchi, figura di spicco del teatro di innovazione in Italia, sembra rendere fedele omaggio alla tradizione popolare napoletana. Scenografia, dialoghi e costumi recuperano sostanzialmente l’opera e la messa in scena del teatro di De Filippo.  La stessa Angelica Ippolito interpreta in Sik Sik, l’artefice magico la medesima parte di quaranta anni fa, quella di Giorgetta, la moglie del prestigiatore allora incarnato da Eduardo.
Eppure Cecchi interviene, eccome, con la sua regia e lo si avverte soprattutto in Dolore sotto chiave. Basti pensare alla esilarante scenetta, non prevista da Eduardo, della telefonata del professor Ricciuti (Carlo Cecchi) alla sua cameriera, tutta incentrata su indicazioni esageratamente puntuali sulla ricetta della coratella con carciofi, il tutto mentre il protagonista Rocco attende con ansia che la conversazione finisca;  alla scelta di fare indossare i panni della signora Paola – potenziale seduttrice di Rocco che si è appena scoperto vedovo –  da un uomo (Dario Iubatti), con l’effetto grottesco che ne deriva;  come pure alla scelta di chiudere l’atto unico con la marcia funebre di Gustav Mahler, trasposizione in tonalità minore della canzoncina popolare Fra’ Martino campanaro che sottolinea il sarcasmo e l’umorismo nero dei personaggi.
Così pure, in Sik Sik, se è vero che Ippolito indossa gli stessi panni di quaranta anni prima, è vero pure che stavolta il suo personaggio sembra ironizzare sulla perduta giovinezza, sfoggiando gambe e pose ammiccanti, stonate per una moglie attempata.
Qualche cedimento emerge solo nel ritmo, incalzante in Dolore sotto chiave specie nei dialoghi tra Luisa (Angelica Ippolito) e Rocco (Vincenzo Ferrera) ma che in Sik Sik risulta un po’ fiacco proprio nei duetti che dovrebbero essere più esilaranti cioè quelli tra il mago (Carlo Cecchi) e Rafele, la sua spalla improvvisata (Dario Iubatti).
Il pubblico, trasversale come sempre nel teatro di Eduardo (giovani, anziani e persino qualche bambino), partecipa con calore per tutto lo spettacolo, ride e reagisce con applausi estemporanei e, a sipario abbassato, si sente qualcuno commentare: “Finalmente qualche risata” a sottolineare che la sfida di Cecchi di riproporre oggi un gigante del passato, scegliendo di non stravolgerlo, è pienamente riuscita.

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