“Così fan tutte”: Mozart incontra le Ebbanesis [RECENSIONE + INTERVISTE]
Dopo il debutto dello scorso 27 dicembre, ritorna in scena al Teatro Nest, dal 6 fino al 9 gennaio, lo spettacolo liberamente tratto dall’opera del compositore austriaco, con protagoniste Viviana Cangiano e Serena Pisa, per la direzione artistica di Mario Tronco e la regia di Giuseppe Miale di Mauro.
di Ileana Bonadies
È un lavoro apparentemente in sottrazione il “Così fan tutte” musicalmente elaborato e arrangiato da Leandro Piccioni e Mario Tronco e diretto per la scena da Giuseppe Miale di Mauro.
Se è vero infatti che a ripercorrere la storia originariamente contenuta nel libretto di Lorenzo Da Ponte è, nella nuova produzione del Nest, solo il duo formato dalle sorelle Fiordiligi e Dorabella, ovvero le Ebbanesis, con i musicisti Alessandro Butera (chitarra manouche, mohan veena); Marcello Smigliante Gentile (mandolino, mandoloncello) e Gianluca Trinchillo (chitarra classica) a racchiudere con innovata efficacia l’organico orchestrale, vero è anche che pregno di sfumature, sonorità e atmosfere è l’impianto immaginato per questa versione, che affida alla riscrittura di Andrej Longo il nuovo plot, enfatizzando l’ambientazione di partenza – Napoli – e i colori multiformi di cui essa è espressione.
Ne consegue che pur senza una scenografia ingombrante, e in assenza – o meglio, presenza sotto altre vesti – degli altri personaggi previsti nell’opera mozartiana, inizia a dipanarsi sottoforma di ricordo la vicenda che vede coinvolte le due donne e i loro rispettivi promessi sposi e lo scambio di identità di cui, rispettivamente, diventano inconsapevoli vittime e maliziosi artefici, non senza momenti di ilare confusione e buffa incomprensione.
Protagoniste assolute dello spettacolo, Serena Pisa e Viviana Cangiano e le loro voci quanto mai messe in luce in tutta la loro brillante possenza da questo nuovo registro operistico, nonché la loro esauriente espressività in grado di colmare i vuoti esistenti con l’originalità che da sempre contraddistingue la loro simbiotica collaborazione – volutamente considerata da chi scrive né scontata né automatica per non pregiudicare la meraviglia che ogni volta ne deriva -, e che invece si conferma assolutamente vincente.
Merito senz’altro dell’esperienza coltivata negli anni da entrambe, ma anche della cura con cui Tronco e Piccioni hanno agito per cucire addosso ad entrambe il migliore vestito possibile, in grado di preservare l’animo scanzonato e irriverente dei due atti risalenti al 1790, ma al contempo di contaminarli con richiami sonori-linguistici che parlano al presente, dalla posteggia alla sceneggiata.
Il tutto mentre l’azione viene diretta “a togliere” – nel segno di una nuova visione registica che Miale di Mauro confessa voler sempre più sperimentare anche per il futuro – affinché nessuna sovrastruttura intervenga inutilmente a coprire o enfatizzare ciò che è già palese (nella drammaturgia così come nella vis interpretativa delle atrici e dell’ensemble) e che perfettamente si muove e avanza come un meccanismo regolato per non incepparsi ma allo stesso tempo anche per non essere sabotato dalla sua stessa precisione, che deve esistere senza che sfrontatamente si veda.
Il risultato finale è una messinscena corale, trasversale e coerente pur coniugando più stili, che partendo da un classico se ne allontana con grazia e intelligenza, divertendo e catturando l’attenzione del pubblico che a giusta ragione lo premia con calorosi applausi.
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Dopo “Don Giovanni” e “Il Flauto magico”, arriva questo terzo lavoro dedicato a Mozart: cosa la ispira di questi drammi giocosi e cosa possono ancora raccontare al pubblico di oggi?
Io faccio il musicista per cui è inevitabile che il mio interesse primario sia orientato sulla musica. Sono partiture vive che si prestano a rielaborazioni, anche ardite, senza che il senso ne venga travisato o tradito. L’ambizione, non so se riuscita, è arrivare alla melodia pura spogliata dall’orpello dell’orchestrazione o del genere, come se si volesse arrivare all’origine della composizione. Lo so che è pericoloso ma è così divertente e stimolante che è un rischio che vale la pena correre. Le storie raccontano l’ipocrisia del mondo borghese nel Così fan tutte, la dannazione in Don Giovanni o la brama del potere che fa dimenticare anche l’amore materno come nel Flauto, tutti temi universali e senza tempo, ahimè.
La produzione di “Così fan tutte” e targata Nest con la sua collaborazione: come nasce questo progetto di squadra?
Il Nest è uno dei centri di produzione più interessanti che ci sono in Italia, non solo a Napoli. Con Francesco di Leva ci siamo conosciuti nella tournée della Carmen di Martone, dove ho conosciuto anche Viviana Cangiano. Ho visto e ho partecipato emotivamente alla nascita del Nest e da tempo parlavamo di fare un progetto insieme, il Così fan Tutte è solo l’inizio.
In questa rivisitazione dell’opera mozartiana, le due sole protagoniste sono Fiordiligi e Dorabella insieme a tre plurimusicisti: si tratta pertanto di un lavoro meno corale dei precedenti a cui lei è solitamente abituato. Come ha inciso ciò nell’ideazione e costruzione dell’assetto musicale e quali novità ha comportato il confrontarsi con questa nuova struttura?
L’idea era quella di portare a Napoli non solo l’ambientazione geografica ma anche il mondo musicale. Immaginando Mozart che ascolta da musicisti ambulanti le arie del Così fan tutte e se le porta con se. Ma in realtà nasce prima l’idea di affidare alle Ebbanesis il ruolo di Fiordiligi e Dorabella e poi la rielaborazione che è così tanto costruita su di loro che alla fine abbiamo deciso di costruire lo spettacolo come se fosse un flashback raccontato dalle due sorelle. È un omaggio al mondo musicale della “posteggia” che io amo molto, perché mi ricorda i pranzi domenicali con la famiglia, quando partivamo da Caserta in trenta ed occupavamo quasi un intero ristorante e si finiva a cantare accompagnati da straordinari musicisti che avevano repertori infiniti.
Una produzione che nasce in questo momento storico è sinonimo di indubbio coraggio e speranza: quali gli elementi e le condizioni che hanno rappresentato la spinta per intraprendere questo viaggio?
Fare teatro è l’unico modo che abbiamo per sentirci vivi, anche se sembra sempre più difficile poterlo fare serenamente. Quando abbiamo deciso di mettere su questo spettacolo abbiamo ragionato come se non stessimo vivendo nel bel mezzo di una pandemia, e al netto di mascherine e tamponi, fare le prove porta in un mondo immaginario in cui tutto è uguale a prima di marzo 2020. Poi le prove finiscono e torna il delirio…
Da un punto i vista prettamente registico, cosa significa dirigere una opera musicale e farlo avendo come riferimento una storia del 1700 filtrata attraverso un libretto riscritto da un autore contemporaneo – Andrej Longo – e da due cantanti che hanno innovato moltissimo il repertorio della tradizione napoletana e non solo?
Ciò che mi porto a casa come regalo da questo spettacolo è un grande lavoro di gruppo. C’è stata in tutti una grande qualità di ascolto, ci siamo messi in gioco remando sempre dalla stessa parte: quella dello spettacolo. Per me è la prima volta che mi trovo di fronte a un’opera lirica seppur arrangiata e rivisitata, e per questo mi sono affidato alla conoscenza e alla sapienza di Mario Tronco per non cadere in errori d’ignoranza. Ho visto tante versioni precedenti dell’opera e avevo in mente una versione molto riuscita con la regia di Mario Martone e la direzione musicale del maestro Abbado. Questi sono stati i miei riferimenti. E poi ci sono Serena e Viviana che sono due mostri sacri, per cui sono stato attento a creare un percorso che le facesse stare a loro agio per potersi esprimere in tutta la loro potenza. Ammetto che spesso restavo incantato a sentir suonare i musicisti – Alessandro Butera, chitarra manouche, mohan veena; Marcello Smigliante Gentile, mandolino, mandoloncello; Gianluca Trinchillo, chitarra classica – che trovo incredibili, tant’è che a un certo punto dello spettacolo ho sentito l’esigenza di regalare loro un piccolo momento solitario, sopratutto per esaltare uno degli arrangiamenti di Leandro Piccioni e Mario Tronco in stile Mexico. Mi sono davvero divertito, è stata una bella esperienza.
Per la prima volta le Ebbanesis a confronto con un’opera mozartiana che però non si allontana da Napoli: da dove siete partite per personalizzare, secondo il vostro stile, le due sorelle intorno alle quali si sviluppa la trama?
Beh diciamo che Mario Tronco ci ha messo nella condizione giusta, ha pensato prima a voler fare qualcosa con noi e poi al Così fan tutte.
Per noi è stato un colpo al cuore quando abbiamo realizzato di dover affrontare Mozart, a primo acchitto non è semplicissimo da accettare, poi con molto lavoro e dedizione ci siamo riuscite, per fortuna e siamo molto felici.
Secondo lui, ma anche secondo noi, io e Serena siamo caratterialmente molto vicine ai personaggi che interpretiamo – Dorabella un po’ più sveglia, intraprendente. Fiordiligi ingenua, tenera, un po’ fuori dal mondo che le circonda – per cui non è stato difficile l’approccio ai personaggi, sembrano stati cuciti addosso a noi.
Fortunatamente in ogni cosa che facciamo, per adesso, c’è sempre molta della nostra personalità.
Per voi che siete interpreti musicali ma anche attrici di teatro e cinema, una esperienza come questa, in cui i recitativi dialogano con le parti cantate, quale bilancio vi fa trarre a poche ore dal debutto? E a quali nuove consapevolezze o scoperte porta, eventualmente, il vostro duo?
Si, essendo attrici/cantanti di solito o ci esibiamo in qualcosa di solo cantato come il nostro concerto (che è pur sempre un continuo recitar/cantando) o appunto a teatro e al cinema con la sola prosa, per cui per noi affrontare un lavoro che ci vede attrici anche versatili, e cantanti-interpreti di un repertorio non proprio da tutti i giorni… insomma, ci fa esprimere a 360 gradi ed è quello che abbiamo sempre sognato entrambe, e insieme.
Al duo sicuramente porterà molta più consapevolezza, sicurezza e un orecchio molto più allenato.
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