“Apocalisse tascabile” o quando Dio compare in un supermercato [INTERVISTA]
In scena a Sala Ichos lo spettacolo ideato e scritto da Niccolò Fettarappa Sandri, anche regista e interprete con Lorenzo Guerrieri, che invita a planare con ironia sui mali della condizione umana.
di Ileana Bonadies
“Un atto unico eroicomico che con stravaganza teologica ricompone l’infelice mosaico di una città decadente e putrefatta, specchio di una defunta condizione umana”: recita così la sinossi dello spettacolo di Niccolò Fettarappa Sandri, in scena insieme con Lorenzo Guerrieri. E tanto basta per immediatamente sentirsi chiamati in causa; avere la sensazione che pur attraverso l’artificio della finzione scenica si sta per parlare del tempo in cui siamo immersi, degli stati d’animo che conosciamo a fondo; dei fantasmi con cui quotidianamente dobbiamo fare i conti, come singoli ma anche come collettività. Ma perché l’uso dell’aggettivo eroicomico sembra lasciare aperta una speranza o comunque farci intuire che è la chiave dell’ironia quella scelta per affondare l’indagine in una voragine da cui però provare a risalire con piglio dissacrante e goliardico?
Alla vigilia delle due repliche napoletane in programma a Sala Ichos sabato 8 (ore 21) e domenica 9 (ore 19), abbiamo raggiunto i due protagonisti e quella che segue è la loro narrazione alle nostre domande intente a capire la genesi e le finalità di un pluripremiato lavoro (vincitore di: In-Box 2021, Premio della Critica al Nolo Fringe Festival 2021, Premio Giurie Unite Direction Under 30 2020, Festival Dominio Pubblico 2020. Italia dei visionari Polis Teatro Festival 2021), ad oggi accolto con sempre grande entusiasmo dal pubblico.
Il male di vivere raccontato attraverso la lente dell’ironia: questo il macro tema intorno al quale ruota Apocalisse tascabile. Come coesistono questi due estremi nel vostro spettacolo? E quale valore aggiunto apporta la “leggerezza” scelta come stile?
Montale si è sbagliato. A ucciderci è il bene di vivere. Bisogna aggiornare la poesia. A ucciderci sono i centri benessere. Penso Montale sarebbe morto in una doccia emozionale. A conoscerci, a frequentarci con il male di vivere! Qui è tutto molto desolato, ma di una desolazione con cui abbiamo imparato a convivere. Una desolazione ambient, da sottofondo. E questo è allarmante. Perché la tristezza è diventata quotidiana e anche molto soft. La verità è che ci manca un’esperienza autentica di infelicità. Il trauma è chiacchiera, un solvente per giornate straziate dai vizi. Se realizzassimo la metà di quello che ci sta accadendo, ne saremmo spezzati. Le cose vanno male e non non ci stupiamo. Ci siamo abbonati al peggio Lo spettacolo vuole essere un esercizio di scavo in questa miseria molto glamour che è la nostra vita. Certo, c’è anche della leggerezza nel trattare tutto ciò. Ci dispiace. Non volevamo. La leggerezza è involontaria, nella vita siamo piuttosto afflitti. Ma crediamo molto nel valore pedagogico della risata. Nella sua derivazione preistorica, cioè quando la risata era un ringhio.
Del lavoro siete entrambi interpreti e registi mentre la drammaturgia è a cura solo di Niccolò: quali passi contraddistingue il vostro lavoro di coppia nella fase di ideazione e poi costruzione della messinscena?
Io (Niccolò) ho scritto il testo durante l’estate del 2019. Volevo lavorare sull’apocalisse, sul sistema di visioni dell’apocalisse. L’idea era quella di disegnare un panorama dei cimiteri pubblicitari in cui trasciniamo la nostra esistenza. La scrittura si ispira a questo nostro stile di vita fatto di infarti, angoscia e fitness. Dentro allo spettacolo, si uniscono temi e critiche che vengono portate a livello di ebollizione, fino a diventare puro movimento e suono. In prova, abbiamo dato al testo un corpo. È stato un esercizio ginnico, più che altro. Meno cerebrale della scrittura. Volevo che la messa in scena avesse un ritmo percussivo. Abbiamo fatto del testo, un crampo muscolare.
Nelle note di accompagnamento allo spettacolo, riportate una frase di Montale che dice “Tutti siamo morti senza saperlo”: pessimismo da assecondare o incitazione a reagire per sovvertire lo stato dei fatti?
Sovvertire sarebbe piacevole. Il pessimismo è una premessa ragionata alla sovversione. Lo spettacolo non è uno spettacolo costruttivo. Non siamo persone molto propositive. Non avanziamo edificanti proposte di costruzione, per ora ci dedichiamo alla distruzione. Alla demolizione dello stato presente delle cose. Il mondo ci piace, ma con il rullo compressore. Non crediamo molto alla tutela del paesaggio.
L’immagine della fine del mondo rapportata a un a precisa categoria, quella degli under 30, si discosta di poco dall’attuale condizione in cui realmente si trova ingabbiata una intera generazione soprattutto in seguito a questi ultimi, difficili anni: cosa vorreste lasciasse nello spettatore (ancor più se giovane) il vostro spettacolo?
Sicuramente nessun segno di speranza. Chi spera, ha sempre tempo da perdere. Altrimenti si impegnerebbe a fare. L’idea è che si produca in chi guarda lo spettacolo, lo stesso senso di spaesamento che noi viviamo, anche come generazione. Ci piacerebbe riconoscerci tutti, nel segno di questo spaesamento. Frequentarci, però spaesati. Per la maggior parte del tempo siamo storditi dall’idea di farcela. Lo spettacolo invita tutti a mollare, perché gli obiettivi di riuscita che ci siamo dati, ce li hanno imposti. Siamo istigati al successo personale. Ma vogliamo rassicurare tutti: quel successo non ci sarà. Non riuscirete, tranquilli, sarete sconfitti. Perdere è liberatorio, quando non hai scelto tu di partecipare alla gara.
Il mondo dell’arte e del teatro in particolare, secondo il vostro punto di vista, di cosa può/deve farsi profeta oggi?
Sarebbe già tanto se il teatro fosse, in qualche modo, vivo. Stabilmente vivo e non sull’orlo del decesso, tenuto in vita da bonus e macchine. Aperto, anche. E frequentato. Idealmente, si potrebbe cominciare così.
Dopo l’Apocalisse, cosa ci aspetta? E – fuori di metafora – cosa vi aspetta?
Stiamo lavorando a un nuovo progetto, il titolo provvisorio è Tentazioni di Disastro. È un lavoro diverso, più radicale e in cui veniamo alle mani. Finora abbiamo provato a spiegarci con le buone. Abbiamo capito che non è bastato, per questo torniamo a lavorare. Debutterà nel 2023. Se saremo in grado.
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Sala Ichòs
Via Principe di Sannicandro 32/A – San Giovanni a Teduccio (NA)
Fermata metro linea 2: San Giovanni a Teduccio – Barra
Lo spazio è dotato di ampio e gratuito parcheggio.
Info e prenotazioni
335 765 2524 – 335 7675 152 – 081275945 (dal lunedì al sabato dalle 16 alle 20 – domenica dalle 10 alle 17)