“Chi ha paura di Virginia Woolf?”: Latella porta in scena Albee
Divenuto un classico del teatro contemporaneo, il testo del tre volte premio Pulitzer Edward Albee torna in scena al Teatro Bellini di Napoli diretto da Antonio Latella che ne enfatizza la visionarietà e la potenza del linguaggio, tra alcol, risate e un cast di talento.
di Alessandra Longo
Il testo di Albee, reso celebre al grande pubblico dall’omonimo film interpretato dalla coppia Liz Taylor e Richard Burton, si afferma come grande successo già dalla sua prima rappresentazione sui palchi di Broadway nel 1962, con 664 repliche, smontando mattone per mattone la (illusoria) realtà dorata della borghesia americana. Oggi, viene riportato a nuova vita dalla rivisitata traduzione ad opera di Monica Capuani per la regia di Antonio Latella, con un cast d’eccezione che vede protagonisti Sonia Bergamasco e Vinicio Marchioni, affiancati dai giovani e convincenti Paola Ciannini e Ludovico Fededegni, perfetti entrambi per i rispettivi ruoli.
Il dramma, in scena al Teatro Bellini fino al 13 febbraio, racconta di una notte alcolica nella classica ambientazione “tutta in una stanza” di due coppie di coniugi, che però di classico non ha nulla: i proprietari di casa, George e Martha, sposati da ventitré anni, invitano i giovani Nick e Honey per un bicchiere della staffa al termine di una festa organizzata dal rettore dell’Università, nonché padre di Martha, presso la quale lavorano i due uomini. Ma la serata sfocerà presto in un gioco al massacro fra i due coniugi di mezza età che trascinerà anche l’altra giovane coppia in una spirale di confessioni sempre più intense e profonde.
Il sipario si apre su una scena in medias res che vede Martha, magistralmente interpretata dalla Bergamasco, già ubriaca, picchiare con foga i tasti del pianoforte mentre il marito George non cessa mai di rimbrottarla, catturando immediatamente l’attenzione del pubblico e rendendo palese sin dai primi istanti le caratteristiche tossiche del rapporto fra i due amanti.
La scenografia scarna ad opera di Annalisa Zaccheria, fatta di pochi arredi e un tendaggio di velluto a delimitare la stanza, riporta alla mente la loggia nera di David Lynch e favorisce la concentrazione sulla fisicità dei quattro attori e sul linguaggio. Quest’ultimo, la cui potenza è esaltata dalla traduzione della Capuani, è il vero protagonista del testo, come sottolineato dal regista stesso che afferma: “Albee, nel rifuggire ogni sentimentalismo, applica una sua personale lente di ingrandimento al linguaggio che sente parlare intorno a sé, ma parallelamente mostra come il linguaggio sia un’arma efferata per attaccare e ridurre a brandelli l’involucro in cui ciascuno di noi nasconde la propria personalità e le proprie debolezze”.
I primi due atti sono caratterizzati da una tensione sempre crescente, veicolata da battute dal ritmo serratissimo e incalzante con le quali George e Martha iniziano il loro strazio portando alla luce tutte le loro insoddisfazioni; inizialmente mettendo a disagio la giovane coppia di ospiti, poi portandoli gradualmente a fondo con loro. Interessante risulta l’attenzione che viene riservata all’alcol, altro “personaggio” – non certo marginale – della storia. Latella sceglie di tenerlo quasi nascosto per la prima metà della rappresentazione, durante la quale viene portato in scena ma mai consumato, quasi fosse un ostensorio. Questa opzione contribuisce efficacemente a sottolinearne il ruolo chiave nel momento in cui, invece, i personaggi si lasciano irretire definitivamente da liquori e musica.
Ne scaturisce un vortice di frustrazioni e follia che trascina i quattro borghesi e lo spettatore sempre più giù, fin dentro la tana del bianconiglio, dove dimora il vero io dei protagonisti fatto di frustrazione ed insoddisfazione.
Un subconscio intenso e infernale, dove le luci si fanno stroboscopiche e le voci rimbombano di solennità a sottolineare il dramma umano. Con un messaggio sempre attuale e mai scontato, la borghesia ne esce distrutta per mano dell’abbandono all’infrangibile abitudine che si rivela essere una spirale senza fine che porta inevitabilmente verso l’abisso.