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Espressione di critica al maschilismo e alla società retrograda e sessista, il dramma di Federico Garcia Lorca torna in scena in un nuovo adattamento a firma di Gianmarco Cesario.

di Alessandra Longo

Foto di Valentina Cosentino

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Difficile trasformare in parole le sensazioni che la tragedia scritta da Federico Garcìa Lorca nei primi anni ’30 del ‘900 trasmette nel nuovo adattamento di Gianmarco Cesario, andato in scena al teatro Tram di Napoli fino a domenica 27 Febbraio. Un racconto di amore, vendetta e onore, in cui la poesia e la violenza si alternano su una scena scarna e privata di ogni punto di riferimento.
Le luci si accendono all’interno di una stanza, collocata in uno spazio-tempo non ben definito. Una Madre, interpretata da Pietro Juliano, discute con il figlio, Guido Di Geronimo, sull’imminente matrimonio di quest’ultimo. Altre due figure si confondono nell’ombra, presagio di sventure.
I quattro attori non abbandoneranno più il palco per tutta la durata dello spettacolo, alternandosi nei vari ruoli, così enfatizzando la scelta del regista di trasformare il testo in un dramma corale e familiare, in cui – come nell’originale – non esistono nomi propri e, per la prima volta, le protagoniste sono interpretate da attori. A motivare la scelta, che si rivela vincente, lo stesso Cesario che afferma: “Una società così maschilista che evoca il meccanismo oppressivo della dittatura, per mia scelta non poteva non essere interpretata che da uomini, che parlano da uomini, anche se i personaggi sono donne, ad eccezione della Sposa, una falena nera, che vede il suo istinto femminile mortificato e infine frantumato dalle mani maschili del mondo che la circonda”.

Foto di Valentina Cosentino

Foto di Valentina Cosentino

I dubbi della Madre in merito all’affidabilità della Sposa fanno da sfondo al suo desiderio di vendetta per un duplice delitto subito anni addietro: la famiglia dei Felix, loro rivale, l’ha privata dell’affetto del marito e di uno dei due figli, il cui pensiero le scatena ancora rabbia e violenza.
Questi frammenti di vita vengono collocati al loro posto quando le due figure nell’ombra si animano e, oscurando il viso con un ventaglio come fossero prefiche, rivelano alla Madre che la Sposa in gioventù era stata fidanzata proprio con Leonardo dei Felix, interpretato da Leonardo Di Costanzo, bambino al momento dei fatti. Tuttavia la donna acconsente al matrimonio e si reca con lo Sposo a casa della Sposa, portandole doni.
Ma è proprio durante l’incontro che iniziano a prendere forma il maschilismo e le idee retrograde che pervadono l’intera messinscena. Una sequenza intensa e rabbiosa di battute della Madre dipingono la donna come totalmente assoggettata all’uomo, obbligata a trincerarsi in casa “costruendo un muro davanti a sé”. Privata della sua natura umana fino ad assumere metaforicamente le sembianze di una bestia da soma, è per questo motivo che il Padre della Sposa – mentre è in corso la compravendita –  definisce la figlia “docile”: ella sarà una buona moglie, in grado di cucinare, preparare il pane e “spezzare la fune con i denti” quasi fosse un cavallo.
Intanto la Sposa, interpretata da Germana di Marino, annuisce a capo chino subendo la politica distorta del mondo conservatore nel quale vive e sotto il peso del quale soccomberà, malgrado il tentativo di liberarsi dalle sue catene.

Foto di Valentina Cosentino

Foto di Valentina Cosentino

L’intimità del teatro Tram favorisce il coinvolgimento dello spettatore nella tragedia e con l’ausilio dell’ambientazione scenica di Melissa Di Vincenzo e le luci di Tommaso Vitiello, ecco sparire lo sfondo della calda estate andalusa e al suo posto farsi spazio il buio e l’oscurità, che contribuiscono ad accentuare e trasferire la gravità degli eventi.
Quella stessa gravità palpabile anche nel giorno delle nozze, quando la Sposa indossa una veste nera, trasformando la rinascita in lutto e portando a chiedersi se ella sia addolorata per sè stessa o se invece si tratti del presagio del destino tragico e continuamente evocato al quale vanno incontro i personaggi.

Toccante l’ultimo atto che racchiude le principali cifre identificative della poetica e della simbologia lorchiana. Lo Sposo, come un eroe tragico, vaga per la foresta alla ricerca della donna amata, guidato dalla Luna, romanticamente portata in scena dalla danza di Adriana Napolitano. Questa prima guida, successivamente, lascerà il posto alla Morte nelle sembianze di una mendicante, permettendo quasi di trarre un sospiro di sollievo per la conferma del presentimento che ha pervaso l’intera narrazione.
Il ritorno alla luce e gli applausi finali non liberano però dal peso lasciato dal dramma, che rimanda alle tragedie shakespeariane permeato com’è di puro amore, violenza, oppressione e impossibilità di liberazione e redenzione.
Ma del resto, dopo la visione di un’opera tanto intensa e suggestiva, non potrebbe forse essere diversamente.

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