“Enigma. Requiem per Pinocchio” [ROMA]
In scena fino al 27 marzo p.v. al Teatro India di Roma, l’opera co-prodotta dal Teatro Valdoca ed ERT/Teatro Nazionale, con regia e allestimento di Cesare Ronconi dà nuova vita al personaggio di Collodi e lo circonda di mistero calandolo in una dimensione onirica fatta di canto e suono, movimento e versi.
di Elvira Sessa
Lo smarrimento c’è sin dall’inizio. Dall’ingresso in sala. Mentre il pubblico si accomoda, un attore sul fondo del palco si aggira con rami frondosi sulle spalle. Al centro della scena, su un telo bianco schizzato di rosso, si intravede una brandina dove giace un corpo di legno. Vi è seduta un’attrice velata (Chiara Bersani), che si direbbe immobile se non fosse per dei movimenti quasi impercettibili delle dita delle mani. Sembra una bambina. Intanto, avvolgenti e inquietanti, le sonorità elettroniche (di Attila Faravelli ed Ilaria Lemmo) e quelle acustiche delle percussioni (eseguite da Enrico Malatesta) creano un paesaggio sonoro metafisico e carico di tensione. E mentre ci si addentra in questo contesto alieno e misterioso, irrompe, con suoni disarticolati, quasi muggiti, Pinocchio (Silvia Calderoni). Scalpita, si dimena a torso nudo con tutto corpo, la leggerezza di una donna e le fattezze di un giovane atleta. Lentamente, allora, l’attrice velata si mostra. Ha il volto di un’ adulta.
“Io sono tutto ciò che questo mondo/ non vuole” dice. “A cavallo fra mondi/ vengo da un lontano/ dove il respiro non conta. (…) Di tutti animali sovrana io sono./ Lumaca sono, lumaca/ che va molto piano. Ma lento qui/ non funziona. Lentezza io amo./ Andare piano non piace qui”.
I versi e la voce, deformata e arcaica, sono della poetessa Mariangela Gualtieri, seduta di spalle al pubblico. Comincia in questo modo il dialogo enigmatico tra questa donna, che interpreta la Fata, e Pinocchio. Un dialogo sull’umano condotto da due esseri magici. Solo la Fata usa la parola, Pinocchio e tutti gli altri personaggi comunicano attraverso il linguaggio primordiale, istintivo e potente, della partitura fisica. Così il corpo androgino di Silvia Calderoni esprime con grande evidenza ed intensità il desiderio del burattino che aspira a trasformarsi in essere umano; quello muscoloso e schiettamente virile di Matteo Ramponi mostra tutta l’esuberanza di Mangiafuoco; la stessa Chiara Bersani, con il suo corpo fuori dall’ordinario, esposto con grande sensibilità e maestria “condensa infanzia e adultità, disabilità e immensa abilità dell’intelligenza, del coraggio di chi getta lì il proprio limite come fosse la condensa visibile della fragilità di ognuno” (come scrive Gualtieri).
A dilatare la forza espressiva dei protagonisti è il canto armonioso di Silvia Curreli ed Elena Griggio che enfatizza la straordinaria partitura musicale di Malatesta, Faravelli e Lemmo. Le luci si innestano con incisività nella narrazione, scandendo il passaggio dalle tenebre alla luce del giorno ed enfatizzano gli stati d’animo dei personaggi, dal terrore (nella scena di Pinocchio e Mangiafuoco), alla tenerezza (durante l’incontro di Pinocchio con la Fata). Il pubblico, coinvolto sul palcoscenico fino alla fine, prova a districarsi nella foresta multisensoriale di Cesare Ronconi per risolvere l’enigma che incombe sul protagonista, sospeso tra sub-umano, sovrumano e umano. Ma non trova una soluzione e nell’enigma sprofonda, accompagnato dai versi finali: “L’umano ha un cuore che batte continuamente./Questo battere è così misterioso-nessuno sa per davvero/questo ritmo/con quale generale ritmo s’avvale/con quale poema ritmato sovrannaturale”.