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Il testo di Bernard-Marie Koltès rivive al Teatro India di Roma, con Andrea De Rosa che dirige i premi UBU Federica Rosellini e Lino Musella.

di Elvira Sessa

Fonte foto Ufficio stampa

Fonte Andrea Macchia

Dopo l’acclamato debutto al Teatro Stabile di Napoli nel luglio 2020, è attualmente in replica al teatro India di Roma, fino al 29 maggio, lo spettacolo Nella solitudine dei campi di cotone diretto da Andrea De Rosa, nella coinvolgente interpretazione di Federica Rosellini e Lino Musella, produzione della Compagnia Umberto Orsini.
In scena l’omonimo capolavoro del drammaturgo francese Bernard-Marie Koltès – nella traduzione di Anna Barbera – che racconta di due interlocutori maschili, un venditore (Federica Rosellini) e un cliente (Lino Musella), che si respingono e si cercano per uno scambio misterioso, sospeso nella febbre del desiderio.
De Rosa ha voluto dare forma al linguaggio metaforico di Koltès e calare l’opera – scritta nel 1986 – ai tempi della pandemia: “Ho immaginato il luogo dove si svolge Nella solitudine dei campi di cotone come un teatro vuoto; ho immaginato il personaggio del venditore come un’attrice dimenticata su un palcoscenico e il cliente come un uomo che viene da fuori; ho immaginato che la merce intorno alla quale si conduce la misteriosa trattativa tra i due personaggi riguardasse il teatro stesso”.

Tutto – parole, ambientazione, messa in scena – si regge su contrasti e ambiguità, con conseguente inquietante atmosfera che si determina.
Gli accesi dialoghi sono in realtà monologhi, grida di solitudini che faticano a relazionarsi, e l’azione è in un luogo indefinito che prende corpo, al crepuscolo, in quell’ora, sospesa tra luce e buio, “in cui di solito l’uomo e l’animale si avventano ferocemente l’uno sull’altro”(così il testo).
Spoglio ma carico di suggestione l’allestimento arredato di soli pochi elementi: due grandi riflettori e, sul lato sinistro, una tenda rossa – a rappresentare il sipario del teatro – alla quale a più riprese si avvicina l’attrice dimenticata/venditore, per trovarvi rifugio dagli attacchi del cliente diffidente.

Fonte foto Ufficio stampa

Fonte Andrea Macchia

Fondamentale è la partitura luminosa di Pasquale Mari. Lo spettacolo inizia con una luce piena che investe il pubblico e poi, a mano a mano che i personaggi si avvicinano e infittiscono il dialogo, si concentra sul palco, in un equilibrato gioco di luci e ombre. Così pure, efficace è il progetto sonoro di G.U.P. Alcaro che alterna silenzi e armonie barocche del clavicembalo, nelle Variazioni Goldberg di Bach suonate da Glenn Gould.  Ma a conquistare il pubblico e reggere brillantemente i novanta minuti di spettacolo senza intervallo sono decisamente l’energia e la maestrìa degli interpreti che, per una scelta registica di valorizzare soprattutto il testo, si affidano quasi interamente all’espressività vocale, con una gestualità ridotta all’essenziale ma incisiva. La voce calda e vibrante di Musella ben si accompagna a movimenti ora scattosi ed energici, ora morbidi e quasi impercettibili, così trasmettendo la rabbia, la sorpresa e soprattutto l’incertezza dell’acquirente che dubita di chi si propone di soddisfare i desideri al solo scopo di vendere. Rosellini, dall’eloquio fluido, senza esitazioni, modula sapientemente i colori della voce che si fa ora minacciosa ora accondiscendente e sensuale, alternando aggressività a movenze eleganti e composte, esaltate dall’abito settecentesco che indossa. Insomma, camaleontica come tutti i bravi adescatori.

La tensione emotiva tra i due personaggi è in crescendo, i duelli verbali si fanno sempre più roventi, così come frequenti diventano i tentativi dei personaggi di scontrarsi e avvicinarsi fisicamente senza mai riuscirci, fino, poi, a placarsi nel finale, quando le solitudini si disciolgono aprendosi ad un inatteso e originale scambio, che però non sveliamo per non compromettere il piacere della scoperta.
Teso alla conciliazione tra il venditore e il compratore, tanto quasi da confondersi, il finale, a rivelare allo spettatore l’ambivalenza che è in ognuno di noi.

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