Nijinsky, il buffone di Dio
Al Nuovo Teatro Sancarluccio di Napoli il debutto, lo scorso 4 giugno, dello spettacolo che omaggia la figura di uno dei più grandi ballerini di tutti i tempi, Vaslav Nijinski, scritto da Antonio Mocciola e Diego Sommaripa che ne cura anche la regia.
di Alessandra Longo
Nijinski nasce a Kiev sul finire dell’800, all’alba di un secolo storico per l’arte e la danza. Figlio di ballerini, sceglie di seguire le orme dei genitori fino a riuscire ad essere ammesso alla Scuola imperiale di ballo di San Pietroburgo e, successivamente del Balletto imperiale dove incontra quello che sarà il suo mentore e amante, nonché padre e padrone, Sergej Djagilev. Questi lo porterà alla fama internazionale, spingendolo al tempo stesso verso la malattia mentale e il precipizio. Fra i due si instaurerà un rapporto di amore e odio, passione e ribrezzo, caratterizzato da disparità e giochi di potere. Fra loro, in una trama degna di un romanzo, si interpone una donna; Vaslav sposa la contessa ungherese Romola de Pulszky durante un viaggio in America del Sud, lontano dagli occhi e dai legacci con i quali Djagilev lo lega a sé.
È qui che si inserisce il racconto drammaturgico firmato da Antonio Mocciola e Diego Sommaripa, che coglie il ballerino nel suo momento di massima fama ma che, come una vetta alpina, è circondata unicamente da ripide discese.
Sul palco con Andrea Cancelliere nei panni di Nijinski, si alternano l’amante Djagilev, Francesco Giannotti, e la moglie Romola, interpretata da Clara D’Afflitto Morlin, raramente presenti in scena nello stesso momento, a sottolineare il loro ruolo di singoli fuochi fra i quali deve destreggiarsi Nijinski.
Una scenografia scarna in cui delle corde appese al soffitto la fanno da padrone, fa da sfondo al viaggio folle nel declino di un grande artista. Vaslav vaga sulla scena quasi danzando, grazie allo studio dei movimenti scenici di Ilenia Valentino, circondato dai lacci che lo legano ai suoi amanti e carnefici, come fossero i fili di un burattinaio.
Il Nijinski in scena appare come un bambino, fermo all’età in cui ha incontrato Djagilev che l’ha accudito e cresciuto, ma allo stesso tempo circuito e soggiogato. Un etoile mai cresciuto, succube delle due figure ingombranti e forti che lo fiancheggiano instancabilmente. Due personaggi degni de “il gatto e la volpe” di collodiana memoria, che danno sfogo al dualismo passionale di amore e odio.
In uno scambio di battute ritmato dalle musiche originali di Gianluigi Capasso, Djagilev e Romola muovono instancabili i loro fili, sempre in lotta l’una contro l’altro, indirizzando il pensiero di Vaslav e riuscendo ad alimentare il fuoco della follia che arde in lui fino alla tragica conclusione.
Vittima di sé stesso, spogliato di ogni orpello che possa anche solo vagamente ricordare quello che era stato il più grande ballerino del mondo, con indosso unicamente la camicia di forza, Vaslav erra nella sua mente, tragicamente solo e abbandonato anche da chi sosteneva di amarlo.
Il testo è un omaggio delicato alla figura di Vaslav Nijinski, con rimandi a Franco Battiato e ai diari di Nijinski stesso, scritti in preda ai mostri della schizofrenia nell’arco di quattro mesi e pubblicati postumi a cura della stessa moglie, il lavoro si rivela un omaggio delicato e introspettivo, attraverso cui Mocciola e Sommaripa dipingono un eroe puramente bohémien, consumato fino allo sfinimento dalla sua stessa arte, come sottolineato dalle parole di Romola la quale afferma “Troppa luce, se ti guardi allo specchio abbaglia. E finisci con il diventare il re delle tenebre”.
Ammonimento che però non ha purtroppo salvato Vaslav dal precipitare nel buio.