Auguri Debussy!
Il 22 agosto 1862 nasceva Claude Debussy, tra i più importanti compositori francesi di sempre. Nel suo 160° anniversario, il ritratto-omaggio di colui che coniugò in musica autenticità e bellezza, equilibrio e incanto.
di Luca Signorini
Buon compleanno, Maestro.
Noi ringraziamo Anacapri e i pendii carichi di vigneti dell’isola che ispirarono il titolo del Prelude n.5 per pianoforte, Les collines d’Anacapri. Il gioco sonoro debussiano attraversa gli echi d’un gamelan – tanto apprezzato da fondersi con la poetica del compositore francese – udito all’Exposition Universelle de Paris del 1889, le cui reminiscenze fanno da sostrato al brano, sia inizialmente che nel suo evolversi in una quasi tarantella. Come per gioco nasce la miniatura, il tratteggio stilizzato d’un ambiente naturale splendido; ma non solo ciò che si vede la musica ha il potere di dipingere, o meglio di evocare, bensì quanto, nell’anima di ognuno di noi, produce la contemplazione della natura. Il ricordo vivido del kampong giavanese all’esposizione parigina; quel velo di nostalgia, anche dolorosa, che tutti proviamo nel rivivere una terra straniera conosciuta anni prima; una visione che alla confortante placida staticità del mare contrappone la movimentata varietà naturale; e il pure festoso ma anche disincantato popolo isolano, così diverso e lontano dal proprio: tutto questo è presente, ne Les collines d’Anacapri, grazie a pochi e soprattutto semplici tratti.
Si, perchè la semplicità è per Debussy un valore supremo: «In verità la musica diventa “difficile” tutte le volte che non esiste: “difficile” è solo una parola paravento per nascondere la sua povertà. C’è solo una musica, e questa musica trova in sé stessa il diritto di esistere». E anche, la musica concepita per l’aria aperta – e il Prelude n.5 fa respirare l’aria e la natura vissuti a Capri – è prodromica delle poetiche che si svilupperanno in seguito, ove i rumori della natura assurgeranno essi stessi a opere artistiche: «Una collaborazione misteriosa fra l’aria, il movimento delle foglie, il profumo dei fiori e la musica […] Posso sbagliarmi» dice il Maestro «ma mi pare che in questa idea ci sia materia di sogno per le generazioni future». E di queste intuizioni beneficiarono tra gli altri Olivier Messiaen, Hugues Dufourt, John Cage e tutta la vasta poetica che fece dei rumori del mondo e della loro elaborazione il proprio centro d’interesse.
Ma, immergendoci in questa raffinatissima composizione del 1909, possiamo associare all’ascolto la preoccupata sensibilità del Maestro che intuitivamente e acutamente anticipa di vent’anni la riflessione di Walter Benjamin sulla perdita dell’«aura». Sì, perché il valore della semplicità, esaltato e difeso da Debussy, ha un insorgente nemico, un artefatto chiamato disco, che pretende di fissare su un supporto meccanico ciò che per sua natura non può essere cristallizzato in alcun modo: «Come non temere questo addomesticamento del suono, questa magia contenuta in un disco che chiunque potrà risvegliare a suo piacere?».
Les collines d’Anacapri non vuole fissare nulla se non un’impressione e, con essa, la sua stessa intrinseca fugacità, la parzialità che l’impressione, in quanto tale, assume in sé; così come «Si evita [a Napoli] ciò che è fisso, definitivo» dice Benjamin in un suo articolo del 1925, Neapel. Parigi come Napoli, ove si sappiano cogliere le due diverse e complementari forme di frammentarietà.
La porosità di Napoli – concetto percorso dalle tante personalità che a Capri, o magari al Gambrinus, si ritrovavano per discutere della filosofia nascosta tra le pietre d’una umanità caotica e profonda allo stesso tempo – è stata, anche da Debussy in qualche modo, con altri mezzi espressivi, in tempi diversi, amata. Forse la natura stessa dell’abbozzo, del brano breve, mai definitivo e senza pretesa di esserlo, ha in sé quel concetto d’apertura, di slancio.
Ascoltiamo, magari eseguiti dal compianto Paolo Spagnolo, straordinario artista napoletano, i Preludes; fermiamoci un istante ad immaginare Achille-Claude Debussy, che compie oggi 16o anni, in una goletta sul mare che separa Sorrento da Capri; pensiamo a quanto l’aria che nel Golfo di Napoli si respira abbia fatto scoprire a donne e uomini una bella parte di sé e, in un felice reciproco riconoscimento, l’abbia esaltata.