“Ca/1000” ovvero il riscatto di Camille Claudel
Premiato al Roma Fringe Festival 2021, lo spettacolo mette in scena l’anima inquieta di una geniale donna e artista, costretta all’oblio nel manicomio di Monfavet.
di Elvira Sessa
Camille Claudel doveva essere proprio come la vediamo nel monologo “Ca/1000”, prodotto da Estudio e Piccola Città Teatro di Napoli e andato in scena al Teatro Vascello di Roma il 24 ottobre scorso. Volitiva ed eccentrica, bramosa di amore ma continuamente delusa e tradita, tutt’uno con le sue opere, travolgenti e di rottura in una società perbenista di fine Ottocento in cui l’arte era appannaggio maschile.
La pièce riesce a riscattare il talento di questa artista, ancora oggi nota più per essere stata amante e musa di Auguste Rodin che per le sue geniali sculture. La drammaturgia di Enrico Manzo, l’accurata regia di Luisa Corcione e la potente espressività di Noemi Francesca, riescono a suscitare nel pubblico sia l’ interesse per le sue creazioni che una forte empatia per la sua dolorosa esistenza, segnata dall’abbandono di Rodin che non mantenne la promessa di sposarla, dalla presenza ingombrante di una madre anaffettiva e ostile, da mancati riconoscimenti artistici e da trent’anni di solitudine, reclusa in manicomio.
Del resto, come spiega la regista, “in Ca/1000 le vicende dell’esistenza personale e gli esiti dell’opera sono inestricabilmente mescolati e fusi nel comune fallimento. Molte delle sculture presenti in scena sono il suo diario, il grido disperato di un’anima che passa dalla felicità di un tormentato rapporto d’amore, quello che la legò per alcuni anni a Rodin, fino al rancore e alla rêverie di cui non è stato e mai potrà essere”.
Da subito Camille/Noemi mostra la sua indole, sognante e tumultuosa. Mentre gli spettatori prendono posto, li osserva di tanto in tanto con occhi saettanti e curiosi. Il corpo minuto è scosso da una incontenibile energia e passionalità, le mani sono febbrilmente intente a modellare una testa di argilla che rappresenta un uomo dalla barba, probabilmente Rodin.
La troviamo all’arrivo nel manicomio francese di Monfavet, abbandonata dagli affetti più cari, in preda ad un vorticoso alternarsi di ricordi felici e dolore, ma su tutto domina la sofferenza per la reclusione, sentita come una ingiustizia. “Nel mio nome c’è un numero: 1000. 1000 saranno le pene per chi proverà ancora a rinchiudermi in queste quattro mura”.
Sulla scena spoglia campeggiano quattro tele che raffigurano le internate del manicomio, le sole compagne di Camille. Nel corso dello spettacolo i gesti e il tono della voce si fanno ora morbidi e imploranti, come quando si rivolge al padre e al fratello Paul dai quali si aspettava comprensione e sollievo, ora vigorosi, come nei momenti di esaltazione amorosa in cui ricorda Rodin, ora esplosivi, come negli scontri con la madre, e allora Camille/Noemi irrompe in movimenti frenetici, contorsioni sulla sedia, corse all’impazzata sul palcoscenico e urla.
Ad accrescere la tensione emotiva è il sonoro delle voci fuori campo – di Lino Musella e Giacinto Palmarini –, percepite talvolta come assordanti, altre come un tenero ricordo.
L’opera ha vinto il Roma Fringe Festival del 2021 targa Miglior Drammaturgia, Premio Fersen per l’innovazione la ricerca, Premio Marcello Primiceri Miglior spettacolo. Meritatissimi.