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Al Teatro Piccolo Bellini di Napoli fino all’11 dicembre, il testo di Erba diretto da Peppe Miale è una dichiarazione d’amore, per la prima volta in lingua napoletana, verso l’arte della scena.

di Alessandra Longo

Foto Anna Camerlingo

Foto Anna Camerlingo

Il testo, nato nel 2002 dalla penna di Edoardo Erba ha avuto in questi vent’anni un’evoluzione linguistica che lo ha visto nascere in italiano, per poi essere riadattato in romanesco e ora in lingua napoletana, con la regia di Peppe Miale, che non fa altro che esaltare la bellezza e l’introspezione dell’opera, in un’operazione nella quale riescono solo i dialetti e le lingue regionali.
Due muratori si intrufolano all’intrasatta e cheti cheti all’interno di un teatro, nascosti da un logoro sipario e dal buio di una notte sospesa in un tempo indefinito. Inizia così una commedia amara durante la quale si ride fin dal primo minuto, grazie alla meravigliosa e mai stancante interpretazione di Massimo De Matteo e Francesco Procopio.
Fiore e Germano devono lavorare, durante la notte. Hanno avuto l’incarico dal proprietario del palazzo di murare abusivamente il palcoscenico del teatro in disuso, per poter ampliare il magazzino del supermercato adiacente. Un lavoro duro, che li metterà a dura prova non solo fisicamente. I due, infatti, mossi dalla necessità di denaro per aprire un’impresa tutta loro, non hanno messo in conto la magia del teatro.
Germano subisce sin dai primi istanti il fascino di questo luogo a lui quasi sconosciuto e si riesce quasi a seguire il convulso flusso dei suoi pensieri, che passa da un “ma gli attori sono tutti ricchioni?” ad un molto più elevato “le parole vanno, vengono, si muovono. Non sono come il muro. Le parole non si capisce che vogliono fare.” Agognando quasi quella libertà che solo l’arte e il teatro possono concedere.
L’intera messinscena è pervasa, infatti, dalla dualità dei due manovali, due mondi che si scontrano costantemente. Il lavoro è impersonato da Fiore, la dura realtà, la necessità di arrivare a fine mese, di sopire i sentimenti e rimandare il giudizio su cosa sia giusto o sbagliato a qualcosa di lontano da sé. Gli fa da contraltare il sogno di Germano, il Peter Pan che non ha preso moglie, non ha messo su famiglia, che continua a inseguire ‘e femmene collezionando una sequela di appuntamenti sbagliati; ma è proprio questa sua dimensione romantica a renderlo facile preda della malìa del teatro.
Teatro che non si limita a fare da sfondo e cornice alla scena, ma è uno dei personaggi in gioco. Agisce da entità viva, con un cuore pulsante. Che lotta contro il sopruso, come un organismo che rigetta il corpo estraneo. E per ribellarsi contro la costruzione di un muro usa la sua arma più potente: la magia.

Foto Anna Camerlingo

Foto Anna Camerlingo

E così entra in scena Giulia, ragazza di buona famiglia in fuga da una serie di amori deludenti, tossici, dolorosi. Giulia, un’adorabile Angela De Matteo, appare dal nulla preceduta da sbalzi di tensione che provocano lo sfarfallio delle luci del proscenio, quasi fosse un’entità soprannaturale e arriva a scombinare i piani di lavoro, le vite e i cuori dei due muratori.
Ed ecco che nasce un’opera che, alternando esilaranti scambi comici e profonda commozione non è solo una storia di rivincita e un omaggio d’amore per il teatro, ma anche strumento di denuncia. Come, del resto, lo stesso Miale afferma: “E se nella nostra lettura, la retorica potrebbe rappresentare facile inciampo, è nostro desiderio provare a denunciare che, se è vero come è vero, che il momento pandemico in essere costringe ad una crisi della cultura (di cui il Teatro è solo fra le più alte rappresentazioni), è pur vero che l’Autore già nel 2002 ci segnalava che c’era chi desiderava che la cultura fosse murata in un supermercato. Ed è quindi sempre nostro compito provare, con umiltà, ad essere quella signorina Julie che crea le condizioni affinché i muri non si sostituiscano ai sipari.”
Durante tutto lo spettacolo, la mente dello spettatore viene attraversata dagli amari ricordi del teatro o del cinema cosiddetto “di quartiere”, che sorgeva magari dietro l’angolo di casa e che poi senza che neanche ce ne accorgessimo è diventato un supermercato, o un parcheggio. Al riaccendersi delle luci non si può fare a meno di pensare di volerla combattere quella battaglia, di smettere di essere il sognatore Germano, per trasformarsi nella signorina Giulia, l’ultima difesa della magia.

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