Manlio Boutique

Nuova, applaudita accoglienza a Sala Assoli – che lo ha ospitato dal 28 al 30 dicembre – per lo spettacolo scritto da Mattia Torre, interpretato da Giovanni Ludeno e diretto da Giuseppe Miale di Mauro, che attraverso il linguaggio amaro dell’ironia racconta uno spaccato umano della società contemporanea.

di Irene Bonadies

Foto Carmine Luino

Foto Carmine Luino

Per chi prova a lasciare tracce di ciò che vede in scena, non poteva il 2022 concludersi che a teatro, andando a vedere uno spettacolo: nel nostro caso, “Migliore”.
Mille le diverse accezioni che si potrebbero dare a questa parola e al senso che il monologo racchiude in sé, e probabilmente altrettanto multiformi saranno state anche le intenzioni dell’autore, Mattia Torre, così come le evoluzioni succedutesi nel tempo.
Chi ora ne sta scrivendo l’ha intensamente (e rocambolescamente) aspettato, tra annullamenti tecnici e personali impedimenti logistici ma alla fine, nell’ultimo giorno disponibile dell’anno appena conclusosi, ecco riuscire nell’intento. Fortunatamente!
Già sulla carta “Migliore” lasciava pregustare il mai sopito amore per il teatro: testo del compianto commediografo Torre (se non avete mai visto o letto qualcosa di lui consigliamo di rimediare immediatamente), interpretazione affidata a Giovanni Ludeno (che ancor prima di essere collega dell’avv. Malinconico o l’attendente del vicequestore Lobosco è stato per noi “amore a prima battuta” nei panni di Neal di “Caro vecchio neon” andato in scena sempre a Sala Assoli nel 2011), direzione di Giuseppe Miale di Mauro – con l’aiuto regia di Luca Taiuti – (di cui seguiamo da tempo, se non da sempre, i lavori apprezzandoli convintamente).
Ma la visione ha superato le aspettative: la sala piccola e accogliente; la cavea che arriva sul palco piena di spettatori; la scena minimale che lascia modo all’immaginazione del pubblico di figurarsi i personaggi e le vicende narrate accompagnandole solo da qualche gioco di luci e ombre, suoni e interventi musicali misurati ma incisivi; un unico strepitoso attore che si muove agilmente, padrone dello spazio e del testo, tra personaggi e parole per un’ora circa di messinscena (ma si sa, quando gli spettacoli sono perfettamente bilanciati il tempo è relativo) dando sostanza, credibilità, carattere, con ogni gesto, sguardo, tono della voce assunti, ai coprotagonisti della storia, e ai loro mutevoli pensieri, alle loro debolezze, alle nevrosi che li attraversano, le fisime, le paure, le insofferenze che ne condizionano gli stati d’animo e determinano le scelte.

Come si diventa migliori? Cosa significa essere migliori, per cosa lo si è e rispetto a chi?
Nelle note di drammaturgia si parla di spregiudicatezza, cinismo, di disprezzo che impera e di disprezzati che soccombono. E la vicenda da cui tutto ha inizio ha il volto di un uomo come tanti, buono a tal punto da sembrare “fesso”, a cui una tragedia cambia la vita, svelandogli un mondo interiore sommerso e sconosciuto in primis a lui stesso. Ma anche a noi che guardiamo da fuori.
In Alfredo Beaumont, infatti, fatichiamo ad intravedere quella involuzione che vorrebbe portarlo ad essere una persona migliore secondo il punto di vista del prevaricatore a discapito degli altri – a tal punto da doverlo definire “peggiore”, in realtà. Certo, compie azioni discutibili, ma nel momento in cui la sua sempre moderata e accondiscendente, calma natura esplode dando libero sfogo a ciò che davvero pensa, si determina – finalmente – la liberazione del suo più profondo essere. E gli infiniti paletti che lui stesso, la famiglia e la società gli avevano messo intorno fino a quel momento come a chiuderlo in una gabbia, crollano sotto il peso di un evento drammatico ma anche catartico.
E allora ecco Alfredo diventare migliore, non perché inizia ad essere malvagio e sprezzante e spregiudicato a discapito di chi lo circonda, ma perché inizia a mostrare coerenza tra pensieri e azioni, a non soffocare la propria personalità per compiacere, per adattarsi, per non disturbare; a non sprecare tempo prezioso ad ascoltare persone che non contano, a dire frasi di circostanza, a fare cose che non gli interessano.
Perché, in verità, l’inaspettata riflessione che se ne trae al termine, è che l’accondiscendenza, la mitezza e la generosità se è finta, forzata, costruita, è peggiore della durezza, dell’asprezza e dell’egoismo sincero. E procrastinare l’assunzione di una tale consapevolezza, rischia solo di fare male, a sé stessi e a tutti.
Dunque, se un augurio da tradurre in buon proposito per il 2023 è possibile fare proprio, sia quello di provare a realizzare, ciascuno nella propria quotidianità, un passo in più rispetto a quello compiuto da Alfredo, ovvero ascoltare la propria voce interiore e darle spazio, senza alimentare alcuna prevaricazione sull’altro, ma agendo con cognizione e gentilezza. Fiduciosi che gli effetti si vedranno e saranno la migliore restituzione possibile.

Print Friendly

Manlio Boutique