“Italia-Brasile 3 a 2″, il ritorno
A vent’anni dal debutto nei teatri torna, in una versione riveduta e corretta, lo spettacolo di Davide Enia, Premio Ubu Speciale 2003, che ripercorre l’epica partita della Nazionale del 1982, espressione di identità comunitaria ma anche di vicissitudini personali.
di Alessandra Longo
In scena al Teatro San Ferdinando di Napoli fino al 15 Gennaio, il monologo felicemente nostalgico dello scrittore e drammaturgo siciliano narra, in 90 minuti più recupero, la cronaca minuto per minuto della storica partita che aprì alla nazionale italiana le porte dei mondiali di calcio ‘82.
Un sipario alzato sulla scena lascia pregustare una differenza rispetto ad uno spettacolo canonico; nessun filtro, nessuna separazione, nessun muro tra artisti e spettatori.
Enia sale sul palco e, sin dai primi istanti, diventa tangibile il desiderio di contatto con il pubblico voluto fortemente dall’autore. Gli avvenimenti storici che hanno contraddistinto gli anni appena trascorsi hanno “rimesso in discussione lo stesso dispositivo teatrale, la sua urgenza, il suo fine”.
Battute iniziali per rompere il ghiaccio e un’introduzione del contesto storico in cui si inserì la vittoria dei mondiali nel 1982, danno il via ad un’esperienza teatrale a tutto tondo, in cui il pubblico viene coinvolto dal primo all’ultimo istante.
Fanno da accompagnamento all’autore, Giulio Barocchieri alla chitarra e Fabio Finocchio alla batteria, al tempo stesso colonna sonora e comparse dello spettacolo; richiamando alla mente il coro del teatro greco.
Ci si ritrova così catapultati d’improvviso nel 5 luglio del 1982, in un salotto palermitano, seduti per terra accanto ad un giovanissimo Davide e la sua famiglia; con il suono delle dita del padre che tamburellano nervosamente sui braccioli della poltrona e l’odore del fumo delle nazionali senza filtro fumate ininterrottamente e del caffè preparato sempre dalla stessa persona.
La famiglia Enia ricorda tutte le famiglie italiane, con i gesti scaramantici da partita e gli stessi vestiti mai lavati perché “non si sa mai, l’ultima volta hanno portato bene”. La convulsa e delirante apparizione di personaggi, crea il presupposto perfetto per ciò che sarà una delle serate più entusiasmanti della storia. Perciò, senza mai mutare i posti a sedere, di fronte al Sony Black Trinitron non c’è solo la famiglia, ma tutta l’Italia, tutta la platea.
Diversi ritmi narrativi danno vita ad un costante palleggio di scena fra lo stadio Sarrià di Barcellona e il salotto di casa Enia, in una cronaca che segue istante per istante la partita con una potenza che permette quasi di vedere le azioni. E così sentiamo il fischio d’inizio della partita Italia-Marziani, vediamo i passaggi del “bellissimo Antonio Cabrini” e il primo tiro (sbagliato) di Paolo Rossi, quel giocatore “magromagromagromagro in maglia azzurra che appare DAL NULLA” e che poi cambierà il destino della partita.
La bravura di Enia risiede non soltanto nel mantenere alta la tensione nonostante la consapevolezza di come finirà la partita, ma anche nel lasciare spazio a narrazioni commoventi di personaggi che, facendo grande il calcio mondiale, hanno dimostrato la profondità dell’animo umano. Si vola quindi nel Brasile di Garrincha, il giocatore zoppo, magro e malato che ha vinto due campionati mondiali; e si finisce teletrasportati a Kiev durante l’occupazione nazista, in un racconto che suona così tangibile e vicino in questo momento storico, da far paura.
“Italia-Brasile 3 a 2” non è solo uno spettacolo che parla di calcio, di orgoglio nazionale, del popolo italiano. Enia porta in scena il romanticismo del pallone, restituendo un’idea di calcio come forma di lotta, di unione tra popoli. A volte una vittoria non è solo un successo sportivo, ma la dimostrazione di come undici uomini possano compiere qualcosa di grande e impensabile cooperando e lottando insieme con un fine comune.
Dopo il fischio finale e gli applausi (meritati) di rito, i minuti di recupero dello spettacolo non fanno altro che confermare ciò che Enia, tra i più apprezzati esponenti del “teatro di narrazione”, ha voluto portare in scena. Il contatto e l’unione degli uomini sono le armi che abbiamo contro tutto ciò che non funziona, sono lo strumento per creare grandi cose. “Questo non è un miracolo; questa è già resistenza”.