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La Los Angeles degli anni 20 del Novecento, insieme alle vicende dei quattro protagonisti principali, al centro del nuovo film diretto da Damien Chazelle.

di Francesco Niglio

La locandina

La locandina

«Un figlio di “The wolf of wall street” e “La dolce vita”», ce lo ha raccontato semplicemente così il suo autore, in una delle interviste per il lancio distributivo del film. Nessun bisogno di presentazioni: è “Babylon”, una delle uscite più attese, chiacchierate e divisive degli ultimi anni. Ultima fatica di Damien Chazelle, ex enfant prodige statunitense e più giovane vincitore dell’Oscar per la miglior regia con Whiplash, suo secondo film, con cui conquista il pubblico di tutto il mondo. Il regista si consacra definitivamente con La la land, poi una miniserie televisiva e un film che ha deluso le aspettative. Si arriva così a “Babylon”, considerato fin dall’inizio delle riprese come il suo esagerato ritorno. Chazelle si è affidato ad un cast eccellente, Margot Robbie e Brad Pitt su tutti, anche qui non c’è bisogno di presentazioni; un brillante Diego Calva e una lista infinita di presenze illustrissime come Spike Jonze o Olivia Wilde, una menzione in particolare la merita Tobey Maguire che sforna un’interpretazione di mefistotelica grazia.
Le performance di tutto il cast è ottima, riesce ad aggiungere qualità alle bellissime inquadrature e regge il ritmo altissimo della storia senza la minima sbavatura. La scenografia e i costumi sono curati con meticolosità, la fotografia è eccellente.
La magia del cinema risiede anche in queste cose: “Babylon” nel suo insieme risulta inferiore alla somma delle sue parti. Le tre ore e otto minuti sono coinvolgenti e trascorrono molto veloci ma forse non affatto necessarie, eppure dove tagliare? Si ha quasi l’impressione che l’abilità nel comporre le inquadrature e la sapienza nel costruire le scene creino la morsa di un virtuosismo che danneggia il lungometraggio nel suo complesso.
Di cosa parla? È un inno alla vecchia Hollywood, che si incentra su di una chiave di lettura ben precisa: l’esagerazione. Il film poi fiorisce in una dichiarazione d’amore al cinema tout court, la parte più interessante. Tra il finale di Nuovo Cinema Paradiso (non a caso…) e la videoarte: un viaggio nella storia del cinema che richiama quasi il viaggio nel tempo di “2001: Odissea nello spazio”.

Una scena del film

Una scena del film

Un eccellente film sbagliato, non si può ritenere, questo, un lavoro con inutili lungaggini, ma viene da chiedersi cosa effettivamente voglia comunicare il regista. In un primo momento (che dura più di un’ora) il film sembra quasi un ennesimo omaggio alla musica e al jazz, non a caso c’è un’inquadratura che si ripete diverse volte: ogni qualvolta si sente il suono della tromba, c’è un’inquadratura che riprende il dettaglio centrale dello strumento, a volte anche dalle angolazioni laterali. Il ritmo, il ritmo, il ritmo. Quanto può durare un assolo meraviglioso per non rovinare la canzone in cui è inserito? La pellicola in alcuni casi perlustra zone che sono già state viste “di recente”, come in “C’era una volta ad Hollywood”, con cui condivide anche due protagonisti, o in qualche richiamo a “The artist” nel passaggio tra il cinema muto e il sonoro, momento più carente dove forse “si disunisce” un po’. Risulta più vicino ad “Ave, Cesare!”(2016) dei Fratelli Coen, di cui è meglio riuscito, che a “8 e mezzo” o “Effetto notte”, naturalmente non è una colpa, però è un peccato; sembra quasi un’occasione perduta.
Il talento di Chazelle non si discute eppure forse non basta: posto che non manca di un enorme coraggio, il film non nasconde mai le grandi ambizioni del suo autore, con cui non si può che essere d’accordo una volta terminata la visione: “Babylon” è davvero un discendente di “The wolf of wall street” e “La dolce vita”, anche se purtroppo non li eguaglia, anzi, soprattutto rispetto al capolavoro Felliniano se ne percepisce un peso minore. Il dna però, è quello lì. E forse per questo la sua visione ci ha portato alla mente una storiella: “Dovremmo fare un figlio” disse Marilyn Monroe ad Einstein, “lo immagini” aggiunse, “con la mia bellezza e la sua intelligenza”, la risposta fu un sorprendente no: “Che rischio” rispose Einstein, “si immagini un figlio con la mia bellezza e la sua intelligenza”.

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