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Commedia e tragedia si susseguono nel nuovo lavoro scritto e diretto dal regista londinese che riunisce la coppia del suo film d’esordio per raccontare una storia di amicizia nell’Irlanda della guerra civile.

 di Francesco Niglio

La locandina

La locandina

Incantare Venezia e stregare Los Angeles, dal festival in laguna alla statuetta dell’Oscar: Martin McDonagh sa come si fa. È successo nel 2017 con “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, 2 Premi Oscar (attrice protagonista e attore non protagonista) e il Leone d’Oro soffiato a The shape of water di Del Toro, si direbbe stia accadendo anche quest’anno con “Gli spiriti dell’isola”: due premi a Venezia (sceneggiatura e Coppa Volpi a Colin Farrell) e nove nomination agli Oscar (otto ai Golden Globe). Indubbiamente un esempio di grande cinema che forse non meraviglia i cinefili che già conoscono McDonagh per l’interezza della sua filmografia, che si completa con “In Bruges” e “7 psicopatici”, due piccoli cult.
Una minuscola isola irlandese può sentirsi vasta quanto l’universo: coi boati bellici della modernità a ringhiare appena oltre qualche lingua di mare, il folklore non può finire che sciolto come neve al sole, mostrando quelle verdi distese di smeraldo per quello che sono, semplice erba.
La straordinaria abilità di scrittura di McDonagh tramuta luoghi comuni in punti cardinali e così il panorama fantastico si lascia esplorare e capire subito dallo spettatore; l’idillio però è presto interrotto. È l’orario della birra pomeridiana e, sorprendentemente, al pub si presenta solo Padraic, Colm non ha voluto seguirlo: un taglio di Fontana nella tela delle abitudini. Il grottesco e l’assurdo, la commedia e il dramma diventano le tonalità con cui si manifesta questo film coinvolgente e brillante, capace di spiazzare lo spettatore che resta rapito dal crescendo degli eventi.

Una scena del film

Una scena del film

Padraic e Colm, come i protagonisti di “In Bruges”, sembrano aspettare Godot. Anche in quel caso la coppia era formata dagl attori Colin Farrell (qui, nella sua migliore interpretazione in carriera) e Brendan Gleeson (un pubblico generalista lo ricorderà senza dubbio per il memorabile “Malocchio” Moody nella serie Harry Potter), la cui intesa, anche in questo caso, si conferma straordinaria.
Ad affiancarli un cast di tutto rispetto in cui spiccano altri due personaggi di rilievo, interpretati da una Kerry Condon poderosa e da Barry Keoghan, ragazzo classe 1992 che si candida con prepotenza a diventare uno dei principali attori del panorama mondiale per un bel po’ di tempo a questa parte e che già con successo aveva lavorato con Colin Farrell (l’alchimia tra i due l’intesa è deliziosa) nel meraviglioso “Il Sacrificio del Cervo Sacro” di Yorgos Lanthimos.
In definitiva, McDonagh è un autore capace di muoversi a varie latitudini e longitudini nel raccontare storie, attraversando generi e cliché e stravolgendo paradigmi e dinamiche. “Gli spiriti dell’isola” è suggestivo e dolce, ma anche grottesco e riflessivo, ricco di simboli emblematici: animali, statue, scorci, il pub, appaiono come autentici personaggi di questa storia che, come la leggerezza di cui parla Calvino, plana sulle cose e porta lontano, verso questioni e riflessioni serie, pesanti, in questa che si può definire senza dubbio una commedia esistenzialista e un grande bel film.

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