“Un Canto di Natale – processo al consumismo”
Il collettivo artistico Progetto Nichel rielabora il celebre romanzo di Charles Dickens, brandendolo come un’arma per una critica verso la società attuale.
di Alessandra Longo
Il progetto frutto di un percorso di studio e residenza – in scena ancora questa domenica a Sala Assoli, dopo il debutto lo scorso 10 marzo su due differenti palchi napoletani, quello di Sala Assoli e del Teatro Sannazaro – si compone di due spettacoli speculari con due diversi cast: uno totalmente maschile (composto da Alfonso D’Auria, Riccardo Marotta e Fabio Rossi) ed uno intermente al femminile (formato da Anna Carla Broegg, Francesca De Nicolais e Rita Russo).
E trae ispirazione dal celebre romanzo di Dickens, spesso interpretato come una critica al consumismo e all’avidità materialistica che caratterizzavano l’Inghilterra vittoriana del XIX secolo. Attraverso la storia del vecchio e avaro Ebenezer Scrooge, che viene visitato da tre spiriti del Natale e costretto a confrontarsi con il suo passato, il suo presente e il suo futuro, lo scrittore britannico, infatti, mette in luce i pericoli dell’ossessione per il denaro e la ricchezza, che possono portare alla solitudine e alla miseria morale. Inoltre, la rappresentazione degli spiriti del Natale come figure simboliche che evidenziano l’importanza della generosità, dell’amore e della solidarietà tra le persone, dimostra la necessità di guardare oltre il mero attaccamento materiale alle cose e di ritrovare un senso di comunità e di condivisione.
Anna Carla Broegg e Pino Carbone, che firma anche la regia dello spettacolo, rielaborano la critica mossa da Dickens in chiave moderna, eliminando il romanticismo e i buoni sentimenti che permeano il romanzo vittoriano, per portare in scena un crudo lavoro di ricerca e analisi della società contemporanea. Un processo, come definito dagli stessi autori, “ad un imputato di nome Ebenezer Scrooge e di cognome Consumismo”.
I due spettacoli, identici sia nella drammaturgia, che nella regia e nei costumi, vanno in scena contemporaneamente, come fossero il fantasma l’uno dell’altro, sui palchi dei due teatri coinvolti con l’obiettivo di sottolineare come l’interpretazione di ogni singolo attore e attrice sia in grado di cambiare la percezione dello stesso lavoro teatrale e delle stesse battute, così come spiega la co-autrice Broegg: “Abbiamo giocato a trovare le differenze, scoprendo come le stesse parole, gli stessi movimenti, le stesse situazioni mutino di atmosfera, di intensità, di carattere, di approccio interpretativo.”
Una scena buia accoglie l’ingresso degli interpreti i quali, con il volto illuminato unicamente dal fuoco proiettato dallo schermo di un cellulare, guidano il pubblico all’interno dell’ambientazione dickensiana, inquadrando personaggi e problematiche. Una musica incalzante, a cura di Marco Messina, fa da sfondo alla rabbia di Scrooge che monta parallelamente a quella degli accusatori.
Con un costante rimando alle più celebri trasposizioni del Canto di Natale, dai Muppets al film d’animazione Disney, i personaggi vestono abiti e passamontagna ogni volta diversi come fossero dei rapitori, degli aguzzini. Attraverso l’apparizione di tre fantasmi, tre performances smantellano e destrutturano la società dei consumi ponendo lo spettatore di fronte a se stesso e a tutti i suoi errori, portandolo ad impersonare lo stesso Scrooge, in un processo nel quale è lui stesso l’imputato.
Ha avvio, così, il processo durante il quale l’accusato sarà costretto dai suoi torturatori a fronteggiare di volta in volta diverse accuse.
In un elenco incessante, problematiche e immagini relative all’inquinamento ambientale sono scagliate sul pubblico dal fantasma del passato costringendolo a prendere consapevolezza di quanto ogni azione errata incida sulla salvaguardia dell’ambiente che ci circonda per poi lasciare posto, quasi senza tregua, al fantasma del presente che si concentra, invece, sulla società odierna, accomunando famiglia e lavoro. L’immagine gioiosa e allegra tradizionalmente associata alla notte di Natale viene così sostituita dall’isteria di una famiglia che passa dal declamare slogan pubblicitari durante l’apertura dei regali, al vivere la lettera per Gesù bambino come una consegna lavorativa ansiogena.
Quasi opprimente il ritmo che attraversa l’incedere della intera storia, che non permette il respiro né il riposo, con le accuse che schiaffeggiano costantemente il pubblico. Solo il fantasma del futuro concede una tregua apparente, con lo smantellamento dell’individuo all’interno dell’omologazione. In un immenso vuoto e con un assordante silenzio che costringe a pensare, siamo invitati a chiederci come siamo arrivati a questo, quale sia il futuro del mondo che abitiamo, quanto immaginiamo possa durare il vuoto nel quale siamo e se abbiamo effettivamente le armi per poter cambiare questa previsione di futuro.