“Miracoli Metropolitani” ovvero l’apocalisse della società occidentale contemporanea
Il richiamo alla responsabilità individuale e sociale al centro del lavoro di Carrozzeria Orfeo in scena al Teatro Vascello di Roma fino al 14 maggio.
di Elvira Sessa
Una voce fuori campo dal tono garbato invita “gentilmente gli spettatori a spegnere quei c**** di cellulari”, poi il sipario si apre e lo sguardo viene catturato dal giovane Igor, scattante e nervoso, che brandisce il dito medio e scarica una raffica di insulti e parolacce. Suo bersaglio è Plinio, intento a preparare pietanze dietro ad un tavolo da cucina al centro del palco, che risponde alle provocazioni con lo stesso tono.
È l’inizio di un flusso di turpiloqui, imprecazioni, urla, assalti verbali farciti di allusioni sessuali enfatizzate da adeguata gestualità, che si protrae ininterrotto per due ore e mezza di spettacolo. Questo registro linguistico la fa da padrone ed è identico – in chi più in chi meno – per gli otto personaggi cioè Plinio (Federico Vanni), Cesare (Massimiliano Setti), Mosquito/Mohamed (Federico Brugnone), Patty (Elsa Bossi), Hope (Ambra Chiarello), Clara (Barbara Moselli), Igor (Federico Gatti). L’ambientazione non è da meno: una cucina-fogna, cioè una vecchia carrozzeria adattata a cucina per produrre cibo da asporto e in costante balìa dei liquami fognari e dei rifiuti tossici che allagano la città. Un luogo apocalittico che condensa l’inizio e la fine della catena alimentare nella società dei consumi, dove il cibo non è condivisione ma merce e la tavola non è il cuore della convivialità ma solo un mezzo di produzione e di ascesa sociale (per Clara, ex lavapiatti con velleità da grande imprenditrice del food e per Plinio, ex chef stellato ridotto in rovina).
Insomma, questo è il “meraviglioso” in “Miracoli Metropolitani”.
A regnare è il disfattismo e il nichilismo. Non a caso, due degli otto personaggi si suicidano.
Ogni tensione etica, nell’opera, è presentata come pura illusione. Inutile affaticarsi per provare a cambiare la propria sorte. Siamo tutti come Sisifo, costretto da Zeus a spingere in eterno un masso dalla valle alla cima di un monte per rivederlo ogni volta precipitare a valle, fallendo sempre. Lo afferma Cesare prima di impiccarsi: “Non siamo eroi ma reduci della vita, creature di un giorno, brevi raggi di luce nell’immensità del niente”.
Gli attori si muovono sulla scena con grande agilità e destrezza, tra di loro c’è un forte affiatamento, ritmo. Sono efficaci e pertinenti le musiche originali di sottofondo (Massimiliano Setti) e le scenografie (Lucio Diana). Ma la bravura tecnica e la cura dei dettagli registici (a cura di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi) si confrontano con una drammaturgia (Gabriele Di Luca) poco originale, non di rottura ma che si uniforma al sentire e al parlare dominanti. Le violenze verbali sono gratuite; il linguaggio – privo di sfumature dialettali che avrebbero potuto almeno dare una connotazione territoriale ai personaggi- si conforma all’hate speech (linguaggio dell’odio) dei social media; i personaggi sono stereotipati (il professore di scuola depresso, il ragazzo frustrato ed emotivamente instabile, la settantenne che vuol rivivere i suoi trascorsi da brigatista, la lavapiatti etiope ricercata dalla polizia), privi di sfumature psicologiche e perciò incapaci di suscitare profonda empatia nel pubblico. Per di più, temi delicati e profondi quali il suicidio, il razzismo, l’indigenza, la disabilità, vengono trattati con leggerezza e superficialità, suscitando una comicità epidermica. E così, Igor passa spensierato la sua giornata al videogioco “Affonda l’immigrato”; il carcerato Mosquito elogia il bullo grazie al quale il bullizzato può emergere nella società, trasformando la rabbia per i soprusi subìti in riscatto sociale; Clara, nell’intento di farlo desistere da propositi suicidi, prospetta a Cesare un appuntamento amoroso con una disabile conosciuta sui social, suscitando negli altri personaggi che ne vedono le foto, commenti derisori per la sua deformità.
Tuttavia, con questo testo Gabriele Di Luca ha ricevuto vari riconoscimenti: ad esempio, è stato selezionato come finalista al Premio Le Maschere del Teatro Italiano nella sezione migliore autore di novità italiana. Nel 2022, inoltre, lo spettacolo è stato selezionato dalla rivista Birdmen tra i 10 spettacoli imperdibili dell’anno.